giovedì 10 novembre 2022

10 Novembre 1943, 79° Anno, il giorno delle medaglie per Maurice Lee Britt e John B. Armostrong

E venne il giorno del valore, era il 10 novembre del 1943, Monterotondo a quel punto dei combattimenti, era difeso da tre sottodimensionate compagnie del 3° Btg. del 30° Rgt. della Terza Divisione Americana.

Una delle tre compagnie, la “L”, quella di Maurice Lee Britt, era posizionata in basso e ridotta a soli 55 uomini, dei 200 di cui era composta durante l’operazione Avalanche, e doveva controllare e difendere una zona boscosa di circa 550 metri posta sul versante orientale della collina.

Il comandante del battaglione, il tenente colonnello Edgar C. Doleman, ricorda che il sistema difensivo era talmente esteso e presidiato da pochi uomini che era impossibile mantenere un contatto attraverso il bosco ed i pendii, questo era possibile solo con l’utilizzo di pattuglie, esposte al tiro degli assalitori o con l’ascolto dei messaggi gridati tra le varie postazioni, comunicazioni impossibili nelle fasi della battaglia perché coperte dai rumori degli scoppi e degli spari.

Il nemico iniziò ad avanzare verso le postazioni americane costringendo i prigionieri americani a correre di fronte a loro e riuscendo a trovare un varco tra le compagnie K e L che permetteva loro di attaccare al fianco la compagnia L, isolandola dal resto del battaglione.

Il caporale John Syc, ricordando quei giorni disse: “non riuscivamo a vedere i prigionieri americani, ma li sentivamo gridare di non sparare”.

Quando i prigionieri erano ormai a 50 mt e continuavano a gridare “Don’t shoot!” (non sparate!) il comandante della compagnia L, il tenente Britt, gridò ai prigionieri “We’re going to shoot! Fall flat! You won’t be hurt” “stiamo per sparare, gettatevi piatti a terra, non vi farete male!”

Il breve ritardo nell’apertura del fuoco da parte degli americani, per capire la situazione ed avvisare i prigionieri usati come scudi umani, aveva permesso ai Panzergrenadier di cogliere  l'opportunità che cercavano:  avvicinarsi il più possibile alla compagnia L per ridurre le perdite ed infliggere maggiore danno al nemico.

Con le due parti molto vicine lo scontro sembrava dovesse terminare con un corpo a corpo, tanto che entrambe le fazioni misero la baionetta sui fucili.

I tedeschi impegnati nell’attacco erano più di cento e fu a quel punto che Britt, capendo che la sua compagnia sarebbe stata tagliata fuori dal resto del battaglione e poi annientata, uscì dalla sua buca e iniziò a correre da una postazione all’altra incoraggiando i suoi uomini a tenere duro e sparare per tenere costantemente sotto il tiro le postazioni tedesche, che nel frattempo, avendo capito tutto, avevano iniziato a prendere di mira solo lui, Britt, non riuscendo a colpirlo data la sua velocità ed i continui cambi di traiettoria; specialità in cui Britt era famoso nei Detroit Lions.

Durante l’azione fu trafitto al costato da un proiettile e ferito altre tre volte da schegge di mortaio, ma nonostante il dolore, il sangue che gli copriva il petto, il viso e le mani, riuscì a lanciare sul nemico trentadue granate a frammentazione, sparare con il suo fucile e tutte le armi che trovava in terra o nelle buche di soldati uccisi, fino a consumare un impressionante numero di colpi.  Uccise cinque tedeschi e ne ferì molti altri, riuscendo a liberare una parte dei soldati americani prigionieri, facendo a sua volta quattro prigionieri tedeschi.

Fred E. Marshall ricorda che Britt correva da una parte all’altra sparando ad ogni rumore e ad ogni figura in movimento, sparendo nel bosco per poi riapparire una volta finite le munizioni, lo ricorda prendere una carabina M1 da un soldato gravemente ferito e continuare a fare fuoco con quella e lanciare granate nel bosco mentre correva cercando i tedeschi.

Una scena rimase impressa a Marshall, fu quando vide Britt in mezzo al fuoco tedesco a pochi metri da loro, lanciare granate tutto intorno a lui senza essere colpito dalle stesse schegge; le bombe scoppiavano intorno a lui e lui correva e continuava a lanciarle.

Il sergente James G. Klanes ricorda di averlo visto partire e gettare 10/12 granate contro i tedeschi, che gli sparavano e lanciavano a loro volta granate e vederlo poi tornare per riprendere altre granate e ripartire in velocità, per tutto il combattimento.

In una delle corse di rientro alle postazioni americane lo videro con il viso il petto e le mani coperte di sangue, per via di tre bombe a mano tedesche lanciate su di lui e che era riuscito a rilanciare indietro facendole scoppiare lontano, ma rimanendo colpito dalle schegge.

Quando l’assalto iniziale stava per vacillare ed il restante della forza tedesca era ancora davanti alle loro posizioni, ma psicologicamente provata per la difesa che stava incontrando; Britt chiamò a raccolta i suoi uomini incitandoli a seguirlo nel bosco per attaccare e ripulire la minaccia.

Il Caporale Eric B. Gibson di Chicago, (che quel giorno non sapeva che il  28 gennaio del 1944, presso Isola Bella a nord di Anzio avrebbe ottenuto la Medal of Honor per il suo coraggio)  ed il soldato Schimer di New York lo seguirono; Britt infondeva coraggio, sembrava immortale.

Gibson ricorda che mentre Britt dava le indicazioni per l’azione la borraccia era trafitta da fori di proiettili, la camicia era ricoperta d’acqua, sudore e sangue, il suo porta binocolo era tutto trafitto da schegge e fori di proiettili.

A battaglia ultimata furono contati 14 morti tedeschi su quel lato della montagna, molti di loro uccisi da Britt.

Per tutta la mattina lui ed i tedeschi nel bosco si scambiarono fuoco da una distanza di 15 metri, sembrava li cercasse tra i rovi per attaccare battaglia.

Alcuni dei superstiti di quello scontro dissero che Britt, quella mattina in quel bosco, era un esercito di un uomo solo.

Le sue azioni incisero in maniera fondamentale sulla ritirata tedesca; probabilmente, se avesse fallito, Monterotondo sarebbe stato riconquistato.

Quando nel pomeriggio arrivarono i rinforzi, Britt tornò ancora nel bosco per cercare e colpire il resto dei tedeschi rimasti. Gibson ricorda ancora che Britt annientò una postazione di mitragliatrici che stava per colpirlo, salvandogli la vita.

Quando i rinforzi arrivarono, dei cinquantacinque uomini iniziali della compagnia “L” di Britt ne erano rimasti solo quattro; i tedeschi lasciarono sul campo sessantacinque tra morti e feriti.

Dopo il consolidamento delle posizioni, il comandante del battaglione, il Col. Doleman chiese una relazione a Britt e osservandolo sanguinare in quattro diversi punti gli comunicò di farsi vedere subito; ma Britt disse che non era nulla, il colonnello gli dovette ordinare di andare al punto di soccorso.

Arrivato al posto di medicamento Britt disse all’ufficiale medico, il capitano Roy Hanford, “prosegui con le cure degli altri feriti, ho solo un piccolo graffio, quando hai tempo lo guardi”.

Questo graffio, disse poi il capitano medico, era una ferita di 2 cm di larghezza profonda fino al muscolo, senza contare le schegge sul viso e sulle mani lasciate dalle granate tedesche.

Vedere il comportamento di Britt, disse il Capitano medico, era una fonte di forza e ispirazione sia per i feriti che per il personale medico, provato e stanco da quei giorni di combattimento.

Dopo il suo breve passaggio nell’infermeria si sentiva che tutti volevano dare di più a costo di sopportare il dolore, la sua figura infondeva rispetto forza e coraggio.

Quando gli chiese se voleva andare in ospedale Britt rispose “No, Doc, I want to go back up that hill and help my guys!.”  (No, dottore, voglio risalire su quella collina ed aiutare i miei ragazzi). La sua cura fu un po’ di polvere sulfamidica e un bel po’ di bende. Britt in quell’occasione non mostrò un pezzo di bomba a mano incastrato nel muscolo pettorale, lo fece diversi giorni dopo. Uscì dalla tenda e riprese a salire sulla ripidissima collina di Monterotondo.

Il Tenente Britt, alla fine dei combattimenti, ricevette la nomina alla Medal of Honor,  la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti.

Per Britt ci fu anche la promozione a Capitano sul campo di battaglia.

Britt, alla fine della guerra, divenne il secondo soldato più decorato della seconda guerra mondiale.

Abbiamo conosciuto il nipote Chris Britt, oggi nostro fratello, nel viaggio che ha voluto fare in Italia per ripercorrere le tappe più significative della guerra del nonno.

La sua famiglia è la nostra famiglia oggi sono un unica cosa e lo aspettiamo per il prossimo viaggio in Italia.

Lo stesso giorno, dalla parte opposta della collina, tra monte rotondo e monte lungo, nel tratto di pianura che le collega, dove passa la via Casilina, zona di operazioni del 15th reggimento della Terza Divisione di Fanteria; una compagnia avanzata non dava più segni di vita, le comunicazioni erano interrotte. Fu a e quel punto che il tenente Armstrong decise che era il momento di partire in direzione di quella compagnia. Attraverso circa 900 mt di terreno aperto senza ripari esponendosi per due ore al tiro di armi leggere e mortai che producevano migliaia di schegge senza colpirlo. Raggiunta la compagnia la trovo sotto fuoco nemico di artiglieria, infondendo coraggio li aiutò a riorganizzarsi e a ristabilire le comunicazioni, ripartendo poi alla volta delle retrovie per riferire al comandante del battaglione. 

Per quest'azione coraggiosa fu raggiunto l'obiettivo di quel giorno, vennero mantenute le posizioni raggiunte e ristabiliti i contatti con la prima line.

Fu nominato per la medaglia d'argento, la silver star.

Abbiamo conosciuto da poco suo figlio e siamo diventati amici, qualche giorno fa ci ha spedito la patch di suo padre e la sua piastrina che faranno parte della storia del nostro avamposto.

                                                                      Maurice Lee Britt



                                      Chris Britt e Victor "Tory" Failmezger insieme a Cassino



Il giorno della Medal of Honor


                              Chris Britt rende gli onori alla 36ma Texas a Sant'Angelo In Theodice



                             Maurice, uomo di grande ironia e simpatia in ogni cosa che faceva



                                          Con tutte le medaglie e la promozione a Capitano



                                                  Insieme con i suoi Detroit Lions



Chris parla del nonno a Fort Stewart base della Terza Divisione di Fanteria il giorno in cui venne inaugurato un cancello d'ingresso a Maurice



                                                                            Britt Gate



                                               L'ultimo ricordo di Maurice Lee Britt




                      Inaugurazione del primo monumento in Italia a Maurice Lee Britt ad Acerno (SA)
                                                                  Ass. Esplorando la Campania 






                                 


John B. Armostrong a Camp Pickett insieme al papà, colonnello
foto concessa dalla famiglia Armstrong al nostro avamposto


John B. Armostrong
foto concessa dalla famiglia Armstrong al nostro avamposto





                               we never forget



 

martedì 8 novembre 2022

7 - 8 Novembre 1943 - 79° Anno, proseguono gli attacchi sul passo di Mignano

 

7 novembre

otto battaglioni di artiglieria si schierarono nella zona di Mignano Montelungo per supportare l'attacco del giorno 8. La logistica aveva finalmente fatto arrivare sulla linea del fronte l'equipaggiamento invernale e razioni di cibo.

Monte Camino, Monte La Defenza

I continui attacchi del 6 novembre avevano portato i "cottonbalers" (nome del 7th reggimento) fino quasi alla vetta. Il tiro incrociato delle mitragliatrici rendeva impossibile l'avanzata, alle 13.30 del 6 novembre si contavano già 25 caduti tra le rocce ed il viaggio dei feriti in barella fino a valle (Caspoli) era un calvario di 4 ore.

Diario del 7th reggimento "Cottonbalers"

02:45: la compagnia che va a nord avanza di un miglio sopra un aspro paese, nessuna resistenza, cecchino che spara sulle pattuglie e cerca di strappare vittime dalla collina.

06:45: la compagnia 'F' avanza verso la cima adi Monte la Defensa, progredisce lentamente

09:45: due plotoni della Cannon Company ricevono la chiamata del 2 ° Battaglione, si posizionano ed iniziano a cannoneggiare la vetta.

11:00: al 1°e 2° battaglione non sparano più da Monte Camino mentre gli inglesi si avvicinano a questo obiettivo.

12:15: la compagnia 'F' incontra forte resistenza, il fuoco delle mitragliatrici proviene dall'alto, dai pendii rocciosi, la sella verrà attaccata di nuovo.

13:30: elementi avanzati della compagnia 'F' in cima al crinale impegnati in scontri, ricevono tiri di mitragliatrice e fuoco di mortai; plotone mandato in sella a dare supporto di fuoco pesante; il battaglione continuerà l'attacco.

16:10: la compagnia 'F' sull' obiettivo, Monte Difensa, dopo un'aspra lotta. La compagnia scaverà postazioni e coprirà l'avanzata del battaglione.

20:18: ordine di divisione: il 1° e il 2° battaglione continueranno ad attaccare per conquistare le alture a sinistra della Divisione.

Il cibo non arriva dalla valle, dovranno attendere il giorno successivo con lanci programmati da parte di un Piper, al quale verrà chiesto via radio di non lanciare sulle posizioni della Terza Divisione per non farle scoprire dai tedeschi.

8 novembre, Monterotondo

La conquista di Monterotondo avvenne l’8 novembre, in una mattina nebbiosa, dopo due giorni passati sotto la neve senza equipaggiamento invernale e senza cibo, che fu consegnato solo poche ore prima del secondo attacco. Per quest’azione furono sostenuti da otto battaglioni di artiglieria coordinati tra loro, che fecero fuoco sulle due colline, permettendo al 30° rgt. di rompere la difesa del 3° Panzergrenadier Division e farsi largo lungo la boscaglia, risalendo la collina ripida e fangosa per raggiungere la vetta. Per la conquista della vetta il 30° reggimento della Terza Divisione ebbe la Presidential Unit Citation, un nastrino blù rettangolare bordato da un cordoncino color oro, una delle più alte onorificenze militari delle forze armate statunitensi, conferita per "atti di straordinario eroismo contro il nemico".

8 novembre, Monte lungo

Anche un battaglione del 15°rgt. di fanteria conquistò la prima vetta di Montelungo, mentre un secondo si posizionò lungo l’Highway Six tra le colline di Montelungo e Monterotondo per garantire la chiusura di una curva difensiva di circa novecento metri. In questa zona la pattuglia di esploratori guidata dal soldato Audie Murphy a seguito di un combattimento con diversi morti e prigionieri Tedeschi, fu costretta a rifugiarsi in una grotta. (lo scontro fu ricordato da A.Murphy nelle sue memorie pubblicate nel libro “all’Inferno e ritorno”. La grotta è stata ritrovata nella primavera del 2018 ed è attualmente visitabile.) Lo stesso giorno, l’8 novembre, con l’intenzione di riconquistare la collina, l’8 reggimento della 3a divisione panzer (Panzergrenadier) lanciò diversi attacchi con il secondo battaglione (II/8°) contro alcune compagnie della terza divisione posizionate sulla sommità di Monterotondo. La storico della 3a divisione ci ha descritto i loro attacchi  come “non coordinati tra di loro”, questo fatto fu strano per gli americani, abituati all’organizzazione tedesca nella difesa e nell’attacco. La forza del battaglione tedesco alla fine dei primi attacchi era ridotta a soli trenta uomini tanto da rendere necessario al comando tedesco di riunire il II°btg. (II/8°) al III° btg. (III/8°) posto tra Monterotondo e Montelungo per avere di nuovo una unità efficiente. Il generale Tedesco Frido Von Senger, comandante dell’intero settore, disperato per gli esiti degli scontri e deciso a riprendere Monterotondo, ordinò al 104° reggimento Panzergrenadier, (III/104°) rimasto di riserva, di riconquistare la vetta di Monterotondo “a tutti i costi”. Von Senger ordinò inoltre al gruppo di combattimento di Otto Von Corvin di prendere posizione nella zona di San Pietro Infine, la famosa battaglia di San Pietro era all’orizzonte.


 

domenica 6 novembre 2022

6 Novembre 1943 - 79° anno, il difensore del passo di Mignano, Frido Von Senger

La linea Bernhardt fu scelta dal generale Hube che cedette in seguito il comando al gen. Frido Von Senger Und Etterlin. Secondo le considerazioni di Senger, il punto debole della linea era al centro, tra Mignano e San Pietro Infine, dove sorgeva il monte Cesima.

La Linea Reinhardt (detta anche linea Bernhardt e winter line dagli alleati) fu una linea fortificata difensiva progettata dall'OberkommandoderWehrmacht o OKW e realizzata dall’Organizzazione Todt in Italia durante la campagna d'Italia della Seconda guerra mondiale.

Andava dal fiume Sangro sull'Adriatico fino alla foce del fiume Garigliano passando per la vetta del Monte Camino Monte la Remetanea e Monte Maggiore, nel territorio di Rocca d'Evandro, per Montelungo, Mignano e Monte Sambucaro, che sta al confine fra le tre regioni del Lazio, Molise e Campania.

La Linea Bernhardt non era particolarmente fortificata, a differenza della Linea Gustav, ed era stata pensata dal comando tedesco al solo scopo di rallentare l'avanzata Alleata nell'avvicinamento a quest'ultima.

Nell’ordine di Kesselring doveva essere approntata entro il 1° novembre 1943. 

Fridolin Von  Senger era  un  uomo  diverso  dall’immaginario  dei generali tedeschi; magro, schivo, riservato, colto  e raffinato. Non fu mai coinvolto  in  rappresaglie  verso  i  civili  (anche  se  in  Italia  di una  ne  fu  sicuramente  a  conoscenza). Nei primi anni  di  guerra,  durante  le  rapide  avanzate  in  Olanda  e Francia,  le  divisioni  corazzate  di  Senger  ebbero  in  generale  un grande rispetto delle popolazioni civili, frutto degli ordini impartiti da questo cultore dell’arte e della storia ma anche generale fedele alla patria ed al giuramento fatto.  Umanista e cattolico  osservante,  tanto  da  andare  a  messa  ogni giorno  e  divenire  fratello  laico  dell’ordine  dei  Frati  Benedettini, passò alla storia come il grande difensore dell’abazia Benedettina di  Cassino  e  grande  stratega  della  difesa  lungo  la  linea  d’Inverno (la linea Bernhardt) e la linea Gustav, che tagliava in due l’Italia nel punto più  stretto  della  penisola.  In previsione dello  scontro  finale  a Cassino convinse l’abate Gregorio Diamare a portare in salvo le inestimabili  opere  d’arte  presenti  nell’abazia  per  evitare  che venissero  non  solo  distrutte  dai  bombardamenti  ma  depredate dalla divisione Hermann Goring per essere trasferite in Germania. Contrario al Nazismo,  fece  il  suo  dovere  come  soldato  e  come generale, rispettando sempre l’avversario.  Fridolin Rudolf von Senger und Etterlin era un bambino fortunato: la sua famiglia  discendeva  da  nobili  possidenti.  Nato a Waldshut, il 4 settembre 1891, il vento di Napoleone Bonaparte spogliò la sua famiglia  di  ogni  proprietà  ed  i  genitori  del  piccolo  Frido  si reinventarono avvocati e funzionari dello Stato.  Questo gli consentì di vivere un’infanzia senza preoccupazioni. Dal papà ereditò il  senso  del  dovere;  dalla  mamma  la  fede  cattolica. Da adulto Frido prese i voti di ‘terziario’ benedettino sentendo la fede in maniera forte dentro di lui. Amava la pittura e sognava di proseguire gli studi che gli consentissero di diventare uno storico dell’arte.  L’Europa nel frattempo  precipitava  nella  barbarie  della Prima e poi della Seconda Guerra Mondiale. Frido si ritrovò  arruolato  come  ufficiale  dell’esercito  tedesco: prima  per  il  Kaiser  e  poi  per  il  Fuhrer.  I fogli matricolari  lo descrivono un ufficiale preparato e capace. La guerra lo  spedisce  subito  in  prima  linea.  Prima nell’avanzata verso l’Olanda e la Francia, con la rapida vittoria. E qui, mentre tutti festeggiano, Frido riflette,  e  la  riflessione  è  riportata  nelle  sue memorie: 

Io mi ero fatto la convinzione che la fulminea disfatta della Francia non avesse per  nulla  deciso  l’esito  della  guerra,  come  molti pensavano.  La tattica delle  avanzate  travolgenti  non  era applicabile  nel  confronti  dell’avversario  principale,  l’Inghilterra, per tre diverse ragioni. L’Inghilterra dominava i mari, le potenze dell’asse no; L’Inghilterra faceva parte di un’unione di stati sparpagliati in tutto il mondo. Buon ultimo: la mentalità degli inglesi, ben diversa da quella degli europei continentali; afferra  solo  ciò  che  ha  potuto  studiare  per anni  e  capire.  La tesi tedesca  della  plutocrazia,  per  cui  presso  gli altri  popoli  l’uomo  della  strada  si  batteva  per  i  ricchi,  non  era familiare  agli  inglesi.  Questi combattevano per  un  ideale incomprensibile  ai  tedeschi  sotto  il  regime  di  Hitler.  A costoro veniva insegnato  che  bisognava  liberarsi  dell’essenza  della democrazia  definita  come  “alterco  parlamentare,  algebra  delle maggioranze,  regime  dei  bonzi  corrotti”.  Per gli Inglesi,  invece,  la democrazia  rappresenta  la  libertà  personale,  il  diritto  e  quindi  la dignità umana, tutte cose per cui vale la pena battersi.”  

Al ristorante dell’hotel  Metayer,  a  Rennes,  durante  una  cena,  la ronda  tedesca  ordinò  ai  commensali  francesi  di  rientrare  a  casa essendo  arrivate  le  22.00,  gli  ufficiali  tedeschi  potevano  restare fino  alle  23.  Frido ordinò che  tutti  restassero  comodamente  ai tavoli  invitando  alcuni  ad  intrattenersi  con  lui  per  parlare  di politica, i francesi ordinarono una bottiglia e restarono con lui fino alle 24.00. Scrive ancora in quei giorni: 

“Nelle ore tranquille della riflessione dopo il ritmo incalzante della campagna militare si delineava più precisa la mia intima tragedia, una tragedia sofferta  indubbiamente  da  molti  ufficiali  di  Hitler. Questi dovevano affrontare un duplice e contrastante imperativo: quello di battersi strenuamente per la vittoria e quello di desiderare la disfatta per amor di patria.”  

“Costoro erano rimasti  fra  l’altro  anche  cristiani,  e  sapevano  di trovarsi  di  fronte  al  regno  dell’Anticristo,  alla  persecuzione  degli innocenti,  all’eliminazione  del  diritto,  alla  sopraffazione, all’insicurezza  personale  e  alla  megalomania  del nazionalsocialismo.” 

A novembre è impegnato nella difesa lungo la linea d’inverno e subito dopo la ritirata  si  appresta  alla  difesa  di  un  settore  chiave  della Linea  Gustav:  quello  che  i  tedeschi  avrebbero  dovuto  difendere con  le  unghie  ed  i  denti  per  tardare  il  più  possibile  l’avanzata Alleata, facendo così in modo che raggiungesse il più tardi possibile la Germania. La sua difesa fu da manuale e si studia ancora oggi. Prima  di  essere  promosso  al  fronte  di  Montecassino,  mentre ancora era al comando delle truppe in Sardegna e Corsica, quando si trovò al bivio tra salvare la propria vita e salvare la propria anima, scelse  senza  dubbio  la  seconda:  il  9  settembre  ’43  non  eseguì l’ordine di fucilare tutti gli ufficiali italiani fatti prigionieri e che fino al  giorno  prima  erano  suoi alleati;  l’ordine  del  Fuhrer  era tassativo  e  chiunque  non  lo  avesse  eseguito  sarebbe  stato  a  sua volta passato per le armi, si fosse chiamato pure Frido Rudolf von Senger.  Il generale imbarcò  tutti gli ufficiali italiani  sulla  prima  motonave  in  partenza  dalla Corsica  e  poi  telefonò  al  suo  superiore,  il  maresciallo  Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia e gli disse di non avere ufficiali da fucilare. 

Kesselring gli evitò la corte marziale e Frido fu sempre in debito con lui.

Era un uomo di guerra che riusciva a mantenere la sua umanità; di grande cultura, attento  osservatore  della  natura  e  delle  bellezze del  creato;  caratteristiche  in  netto  contrasto  con  la  guerra,  che assume  in  lui  i  contorni  dell’arte,  terribile,  ma  che  svolgeva  in maniera  sapiente,  professionale,  umana  e  disumana  allo  stesso momento.

A Santa Maria al Monte, in provincia di Pisa, sulla facciata della chiesa di San Pietro in Vincoli una targa recita “A Frido von Senger, generale tedesco antinazista e benedettino, che salvò centinaia di soldati italiani e il tesoro di Montecassino. Nel 70° anniversario della sua presenza a Villa Pozzo.”

Scrisse Frido Von Senger, nelle sue memorie, ripensando alle battaglie sul passo di Mignano

“Il decorso dei combattimenti che portarono allo sfondamento della linea Berhardt e che costituirono il preludio alle battaglie di Cassino fu caratterizzato dal fatto che l’iniziativa era esclusivamente riservata all’avversario. In nessun punto in cui vennero attaccate da forze consistenti le divisioni tedesche riuscirono a tenere le cosiddette posizioni. Così vennero a mancare anche i successi che sarebbero stati necessari per rialzarne il morale” 

Frido Von Senger Und Etterlin, dal suo libro “senza paura senza speranza



foto: https://www.attimisospesi.com/frido-von-senger-und-etterlin/


Luogo della sepoltura di Frido Von Senger, nella foresta nera (foto Luigi Settimi)


Tomba di Frido Von Senger, nella foresta nera (foto Luigi Settimi)


Tomba di Frido Von Senger, nella foresta nera (foto Luigi Settimi)


Tomba di Frido Von Senger, nella foresta nera (foto Luigi Settimi)




6 Novembre 1943 - 79° anno, gli attacchi su monte rotondo e monte lungo

 

Il mese di novembre, vide l’intera Terza Divisione di Fanteria, incaricata di liberare le città lungo l’asse della Highway Six (la S.S. 6 Casilina) e successivamente raggiungere e conquistare le tre montagne che dominavano la valle a nord del villaggio di Mignano e che costituivano un ostacolo per le forze corazzate per proseguire la marcia su Roma.

Erano la collina di Monterotondo sulla destra della Highway Six; di Montelungo sulla sinistra e di Monte la Defenza (Monte Camino) sempre sulla sinistra. Le tre montagne, con la via Casilina nel mezzo, rappresentarono un ostacolo per quasi due mesi ed impegnarono migliaia di uomini. Alla fine si contarono oltre 120 medaglie tra le truppe americane e italiane cobelligeranti. 

Per l’attacco sarebbero stati utilizzati il 15° reggimento, obiettivo Monterotondo e Montelungo ed il 7° reggimento, obiettivo monte La Defenza, al confine con il settore e obiettivo d’attacco Inglese, Monte Camino.

Le pattuglie di esploratori segnalavano diversi campi minati, trappole e postazioni di mitragliatrici su tutte le montagne, difese da unità della 3a divisione Panzergrenadier e della divisione Hermann Göring, ancora efficienti, nonostante le pesanti perdite subite fino a quel momento.

ll generale Truscott, che aveva avuto il comando della 3ª divisione di fanteria dall'aprile del 1943,  aveva messo in riserva il 30°reggimento di Fanteria, tenendolo pronto per l’assalto decisivo in quella zona quando le difese Tedesche sarebbero state sul punto di crollare.

Ma la situazione tattica venutasi a trovare sul monte Camino, nel settore Inglese, dove la 56ª  divisione Inglese era bloccata e veniva decimata; portò il generale Inglese McCreery a chiedere a Clark una maggiore pressione per aiutare la 56ª  divisione.


Il generale Clark acconsentì chiedendo al generale Lucas un maggiore sforzo; quest’ultimo chiese al generale Truscott, comandante delle truppe dell’area definita come “Mignano Gap” (varco di Mignano), di impiegare anche il 30°reggimento di fanteria in una manovra avvolgente.

Truscott protestò, vedendo in questo lo spreco di un reggimento, ma obbedì agli ordini inviando il 30°reggimento. I soldati partirono subito a bordo dei camion verso Presenzano, nei pressi di Rocca Pipirozzi, da qui raggiunsero le zone presidiate dalla 45ª Divisione e avanzarono verso ovest lungo la “Cannavinelle Hill”, un sentiero di montagna scavato per l’occasione da un battaglione di Ranger, per prendere Monterotondo da Est, in una manovra di aggiramento delle postazioni nemiche.

Al reggimento, affaticato, bagnato per la pioggia che non terminava mai e infreddolito per le temperature basse del periodo, fu ordinato di conquistare e tenere la strategica posizione di Monterotondo che permetteva ai tedeschi di controllare la strada principale per Roma.

Alla pioggia si unì anche la neve, ed il 30° rgt di fanteria la mattina del 6 novembre attaccò compiendo pochi progressi. Al loro fianco, ad ovest, il 15° rgt di fanteria non era riuscito a conquistare la prima vetta di Montelungo, entrambi non avevano raggiunto i loro obiettivi e occorreva un nuovo attacco.

Il 6 novembre il 15th reggimento non aveva conquistato il suo obiettivo, le prime colline di Montelungo. 

Audie Murphy con la sua compagnia si era rifugiato in una grotta tra Montelungo e Monterotondo, in una posizione avanzata. Mentre il resto del 15th si organizzava per un nuovo attacco a Montelungo.











                                                                        Audie Murphy









sabato 5 novembre 2022

5 Novembre 1943 - 79° Anno. Il Tenente colonnello Jack Toffey

 

Il tenente colonnello Jack Toffey disse “la strada per Roma è lunga e per molti aspetti è come la strada per l’inferno, buone intenzioni incluse”. Toffey non comandava che uno dei cento battaglioni alleati sparsi fra il tirreno e l’adriatico, ma la sorte sua e dei suoi uomini era identica a quella di tutto l’esercito. Il tenente colonnello era il prototipo dei giovani comandanti che avevano combattuto in Marocco, in Tunisia e in Sicilia, così come la sua unità; il 2° battaglione del 7° reggimento di fanteria della 3° Divisione di Fanteria; era un esempio di tutte le unità che stavano cercando di snidare i tedeschi dalla linea d’Inverno. Toffey era contento di essere di nuovo sotto il comando di Truscott e orgoglioso di far parte della terza divisione, “la migliore in occidente” scriveva; e del 7° reggimento in cui avevano militato Marshall ed Eisenhower. “La vita è buona” scriveva alla moglie Helen a Columbus. Arrivato in Italia nelle ultime ore della battaglia di Salerno si era sentito “di nuovo un vero soldato”. George Biddle che per un mese lo seguì e ne raccolse le impressioni oltre che disegnare bozzetti e dipingere acquarelli, scrisse di lui “era un uomo instancabile, sembrava portasse sulle spalle l’intero battaglione, di mente acuta, sottile e di un umorismo virile, salace, tipico degli americani.” Era onnipresente: incitava i suoi uomini ad avanzare, dirigeva il fuoco dell’artiglieria, interrogava i prigionieri, portava via i morti e i feriti. Avanzarono dopo Salerno fino al fiume Volturno, lo superarono dopo aspri scontri, risalendo la statale 6 Casilina che i soldati chiamavano “la strada della vittoria”. Marciavano con fatica. I contadini piangevano i loro morti o frugavano fra le macerie della propria casa per recuperare una pentola di rame o una bambola di pezza. Si lasciarono alle spalle l’acciottolato di Liberi, di Roccamonfina e di Pietravairano, con gente vestita a lutto e i bambini piccoli con fogli di giornale al posto dei pannolini. Scoppiavano le mine, sparavano i fucili e troppo spesso Toffey si chinava su un giovane morente e sussurrava: “sta arrivando la barella. Tieni duro, ragazzo”. La sera istallavano il posto di comando del battaglione in qualche grotta annerita dal fumo o nel solaio di un cascinale, dormendo in terra o sulle foglie secche. Toffey dormiva con il telefono vicino all’orecchio, pronto a rispondere se per caso lo avessero chiamato col suo nome in codice “Paul Blue Six”. Nei suoi discorsi si domandava come sviluppare “l’istinto di uccidere; i nostri ragazzi non sono professionisti e bisogna condizionarli perché lo acquisiscano”. Non parlò mai alla moglie della possibile morte più volte sfiorata in battaglia, come su monte Costa, quando piovvero bombe intorno a lui, intento a fumare la pipa e scrivere una lettera proprio a lei. Con il suo battaglione impararono a evitare i crinali a coprire con il fango lo scintillio degli elmetti e delle gavette. Tendevano l’orecchio per percepire il miagolio dei gatti, uno dei segnali preferiti dai tedeschi. Toffey continuava a dare consigli ai suoi ragazzi “siate vigili e resterete vivi” a degli ufficiali appena arrivati disse “imparate a conoscere uno per uno tutti gli uomini del vostro plotone per nome e non soltanto per i loro pregi e difetti. Abbiamo un bisogno disperato di voi. Avrete dei subordinati meno bravi di quelli che avevate in patria. Scoprirete che la vostra compagnia ha perso il sergente maggiore e che il sergente più esperto del plotone è morto. Ma noi abbiamo bisogno di voi e abbiamo un lavoro da svolgere. Che nessun ufficiale vada a letto senza avere prima controllato la sicurezza di tutto il perimetro e che non si abbandoni né una bandoliera né una borraccia, neanche uno spillo. Vi auguro tutta la fortuna possibile. Siamo felici di avervi con noi. Ricordatevi che se potrò aiutarvi lo farò.” La sua compagnia superò la linea Barbara, ma trovò una forte resistenza sulla Winter Line. Fino a quel punto, il battaglione aveva perso più della metà degli effettivi. Il 5 novembre, guardando i suoi soldati marciare nell’altipiano, Truscott ebbe a scrivere:

Macilenti, sporchi, infangati, scarmigliati, la barba lunga, le divise sbrindellate, gli stivali logori

A Mignano, nella valle sotto il monte Cesima, rimase solo la pioggia a osservare i soldati che sollevavano con i guanti i cadaveri cerei di altri soldati, americani e tedeschi e li issavano sul rimorchio di un camion, i vivi alle prese con i morti, finchè il veicolo non fu pieno. Fu qui che annotò:

Vorrei che la gente a casa, anziché pensare ai propri ragazzi come campioni di football, li pensasse come minatori rimasti intrappolati sottoterra o che muoiono soffocati in un incendio alto dieci piani. Vorrei che li pensasse infreddoliti, bagnati, affamati, pieni di nostalgia e spaventati. Vorrei, quando pensa a loro, che sentisse un nodo alla gola

Mignano era liberata. Toffey fu ucciso 3 giugno del 1944 a Carchitti nei pressi di Palestrina, non vide mai Roma liberata, si fermò a poche decine di chilometri.