sabato 25 aprile 2020

25 Aprile, un piccolo contributo alla memoria


Discorso di Enrico Mattei,
capo partigiano e fondatore dell’ENI
Primo congresso della Democrazia Cristiana (Roma, 24-28 aprile 1946)
al fine di preservare il senso più profondo della memoria collettiva.

Affinché il passare dei mesi non attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai quali quasi esclusivamente fu affidato — in un primo tempo almeno — l’immane compito di provare a tutti gli italiani ed al mondo intero che il nostro popolo sa ancora amare la libertà fino a dare la sua vita per conquistarla e per difenderla; affinché la memoria di quanto questi nostri partigiani hanno compiuto per noi tutti, per ciascuno di noi, non si perda fra le tante assillanti preoccupazioni di ogni genere che opprimono oggi l’individuo e la collettività, per queste ragioni soprattutto ritengo mio dovere prendere la parola, non nell’intento di esaltare i combattenti del periodo eroico della guerra di liberazione — sarebbe a ciò la mia voce insufficiente —, ma per ricordare il loro sacrificio, per ricordarlo a me ed a tutti i presenti onde, nelle gravi cure dell’ora attuale, ci sia di conforto, di ammonimento e di sprone a perseverare nel cammino lungo e difficile che ancora ci resta da percorrere. Ma, a trattare della questione partigiana, sono anche indotto per aver notato come le numerose celebrazioni fatte nella seconda metà dello scorso anno e poi; con sempre minore frequenza, in questi primi mesi del 1946, vennero quasi esclusivamente organizzate ed effettuate da altri partiti politici che, come è ovvio, furono indotti a valorizzare ed a mettere in particolare risalto l’apporto delle unità partigiane che a tali partiti facevano capo e che da essi dipendevano. Ciò ha forse ingenerato, nell’animo di coloro che ascoltarono tali rievocazioni e che ne lessero i resoconti sui giornali, la convinzione che la lotta di liberazione sia stata un po’ il monopolio di uno o due partiti politici. Noi troppo poco parlammo, fino ad oggi, dei nostri partigiani e troppo poco ne scrivemmo, quasi fosse la materia a farci difetto. Orbene, pur concedendo che, per la complessità delle vicende del periodo clandestino, per il frequente costituirsi, disciogliersi e ricostituirsi delle unità partigiane, non è possibile dare le esatte proporzioni dei patrioti aderenti ad ogni singolo partito, ho ad ogni modo la ferma convinzione che la conoscenza dei dati a cui accennerò più avanti potrà servire a ristabilire più giuste proporzioni ed a rilevare quanto la Democrazia Cristiana ed i suoi combattenti hanno fatto perché l’Italia fosse libera e democratica. Potrà far pienamente capire a tutti perché noi non ci sentiamo a nessuno secondi in materia di guerra partigiana, e perché — come S.E. De Gasperi ha ben chiarito nel recente discorso di Torino — non possiamo acconsentire ad essere “accolti” da nessuno tra le file dei difensori della libertà. Noi fummo bensì, e siamo sempre, “al fianco” di tutti per la difesa e la diffusione della libertà, in assoluta parità di diritti con qualunque altro partito, come fummo a chiunque pari nel compiere il nostro dovere. Ne abbiamo una chiara conferma in alcune frasi della lettera che il Comandante Generale del C.V.L., Gen. Raffaele Cadorna, mi scrisse il 6 maggio 1945, in occasione della sfilata di 16 mila uomini delle formazioni democristiane a Milano, per celebrare l’avvenuta liberazione. Dopo aver affermato che l’opera delle formazioni della Democrazia Cristiana è stata benemerita non solo del partito, ma della guerra partigiana in genere, la quale, appunto per la fusione di tutte le correnti politiche nelle sue file, era divenuta veramente nazionale, il Gen. Cadorna aggiungeva: «Questa verità è apparsa chiaramente a tutti, oggi, nel contemplare affiancate ed affratellate formazioni di ogni colore, ma in particolare di colore rosso ed azzurro». Limiterò dunque la mia esposizione, necessariamente schematica, per mancanza di tempo, a quella parte del C.V.L. a nome della quale io posso parlare e della quale conosco, per la lunga consuetudine, tutte le lotte, tutti gli eroismi, tutta la passione: le formazioni della Democrazia Cristiana. Prima di trattare di queste unità di combattimento, non sarà tuttavia inutile ricordare che, se molte delle divisioni e brigate partigiane poterono operare, tenersi in collegamento fra di loro e con i comandi centrali, ricevere aiuti finanziari, materiali d’equipaggiamento e di armamento, viveri, ecc., ciò fu grazie alla collaborazione strettissima, coraggiosa, temeraria talvolta, del clero cattolico di ogni grado e dignità, delle organizzazioni cattoliche di ogni genere. E questo è vero non solo per i partigiani combattenti sotto l’insegna della Democrazia Cristiana, ma anche per tutte le altre formazioni, così per le Divisioni Garibaldine, come per le Brigate Matteotti, le Brigate Giustizia e Libertà, e per le Formazioni Autonome. Tutte e ovunque ebbero nel sacerdote non solo il consolatore dei feriti e dei morenti, ma anche la staffetta fedele ed eroica; tutte ebbero nelle chiese e negli oratori il rifugio sicuro, talvolta le sedi dei Comandi, i depositi delle armi e delle munizioni e così via. Non è facile pensare come si sarebbe potuto organizzare e mantenere collegato l’imponente complesso delle forze dipendenti dal C.V.L. senza questo prezioso tessuto connettivo rappresentato dalla Chiesa Cattolica e dalle organizzazioni religiose e laiche da essa dipendenti. Tutto ciò, senza contare la partecipazione attiva e diretta alla lotta di decine e decine di sacerdoti: comandanti di Divisione e di Brigata, Commissari di guerra nelle formazioni, informatori dei Comandi Partigiani, operai fra gli operai nelle officine per concorrere ai sabotaggi e per sorreggere la fede dei loro compagni di lavoro, con i quali si fecero spesso deportare in Germania. Non vi è regione, non vi è provincia che non abbia dato il suo contributo di sacerdoti morti, torturati, arrestati e deportati. Devo ricordare, fra i tanti, Don Umberto Bracchi e Don Francesco Delnevo, assassinati dalle SS tedesche durante il rastrellamento del luglio 1944, nel Nord Emilia. E Don Emanuele Toso, Don Attilio Pavese, Don Giovanni Bobbio, Don Enrico Pocognoni e tanti, tanti altri che lasciarono la loro vita sulle montagne del nuovo calvario d’Italia, onde portare il conforto della fede a coloro che combattevano per far sì che di fronte alla efferata violenza di una pseudo civiltà pagana trionfasse il precetto della carità cristiana. E come ricordare le migliaia di prigionieri alleati, di israeliti, di perseguitati politici che riuscirono, grazie all’aiuto dei sacerdoti, a mettersi in salvo oltre confine? Basterebbe leggere le pagine in cui Don Aurelio Giussani condensò l’attività dell’O.S.C.A.R. (Organizzazione di Soccorso Cattolica agli Antifascisti Ricercati), nata nel Collegio San Carlo a Milano, per convincersi di quanto fu fatto in questo campo dallo stesso Don Giussani, da Don Ghetti, Don Bigatti, Don Motta, Don Barbareschi, aiutati da pochi altri collaboratori laici della Democrazia Cristiana. Non senza significato è la lettera che il Comando Generale del C.V.L. ha inviato, in data 5-5-1945, alla Rev.ma Superiora Generale delle Suore della Riparazione, in Milano, per ringraziarla dell’ospitalità che il convento diede al Comando Generale stesso. Parlando del 25 aprile 1945, la lettera dice testualmente: «In quel giorno, da codesta Casa Generalizia, si decisero le sorti di questa preziosissima parte dell’Italia affidata al C.V.L.». E continua: «… Un giorno gli italiani conosceranno che da cedeste mura partirono gli ordini per la risurrezione della Patria». Prima di chiudere questa parte introduttiva, lasciate ancora che io chieda allo stesso Gen. Clark di valutare l’efficacia dell’azione militare svolta dalle formazioni della Democrazia Cristiana. In una comunicazione fattami in data 4-10-1945, il Gen. Clark riconobbe che, pur nella difficile situazione creata dalla deficienza di armi e di equipaggiamento, le unità della Democrazia Cristiana sono state impiegate in modo da recare “il massimo vantaggio” agli Alleati nella loro avanzata per la liberazione del territorio italiano. E prosegue riconoscendo altresì che il contributo dato dalle formazioni della Democrazia Cristiana alla causa dell’Italia e degli Alleati “è stato degno delle più alte tradizioni delle genti amanti della Libertà”. Passo finalmente a dare una succinta relazione — a base di cifre — sulle forze della Democrazia Cristiana nelle diverse regioni e sull’attività da esse svolta. Chiedo venia, fin d’ora, a tutti coloro — e sono la quasi totalità — che, per mancanza di tempo, non potrò ricordare come vorrei. Sappiano però tutti i reparti e tutti i singoli partigiani che essi mi sono ugualmente presenti nella mente e nel cuore, ugualmente vicini come nei giorni della lotta comune. Ma sono decine di migliaia di figure e di azioni che balzano alla memoria. Sulla guerra partigiana già furono scritte centinaia di volumi, altri lo saranno, e non è nemmeno pensabile che in una breve relazione si possa far cenno di tutti gli uomini e di tutti gli avvenimenti. Spero tuttavia che sarà possibile, in un prossimo avvenire, far conoscere meglio, per mezzo di alcune pubblicazioni, il contributo dato dalle singole regioni e dalle singole unità di combattimento.

Veneto

Democristiano era il Vice Comandante del Comando Regionale Veneto del C.V.L. (il Com.te Reg.le era generalmente un militare, un tecnico, senza determinato colore politico). 18 furono le Brigate democristiane inquadrate nelle Divisioni del Veneto. In altre 21 Brigate i due terzi dei componenti provenivano dalla Democrazia Cristiana. Complessivamente 14.500 uomini, che ebbero 716 morti, 493 feriti, 71 arrestati politici. Perdite inflitte al nemico: 1.218 morti, 811 feriti e 26.700 prigionieri. L’azione di sabotaggio di una sola brigata — la “Cesare Battisti”, della Divisione “Monte Grappa” — ha causato al nemico: — 2.692 ore di interruzione nei trasporti ferroviari da e per la Germania; — la distruzione di 2.030 metri di binario, fatti saltare con cariche esplosive; — l’annientamento di 34 locomotive e di 52 carri ferroviari. La Brigata Guido Negri ha al suo attivo il disarmo di tutti i soldati costituenti il presidio di Dolo: 150 nemici furono legati e imbavagliati, tutte le armi della caserma sottratte. La stessa Brigata ha effettuato il rilievo di tutte le fortificazioni della zona dell’Adige. Vennero compilati i “lucidi” con l’indicazione di tutti i dati di dettaglio, compreso perfino il numero delle cassette di munizioni contenute nelle riservette, ed inviati poi al Comando Superiore Alleato, attraverso la Svizzera. Questi dati, che si riferiscono a due sole Brigate, possono dare una chiara visione di quella che è stata l’attività svolta dal complesso delle forze democristiane venete. Non voglio terminare questo breve cenno sulla resistenza veneta senza ricordare la Divisione democristiana Domenico Rossetti, costituita dal C.L.N. di Trieste e che raggruppava oltre mille armati. È doveroso ricordare, l’attività di Don Marzari — presidente del C.L.N. di Trieste — di Guidi, Monti e Marzi. Quest’ultimo, prima arrestato e torturato dai nazifascisti, poi, riuscito a fuggire, catturato dagli slavi e deportato in Jugoslavia. E tutti i caduti in combattimento: Di Peco, Dussi, Federici ed altri, che non possono essersi sacrificati invano. Come risultato pratico, insorgendo tre giorni prima dell’arrivo delle bande di Tito, hanno impedito ai tedeschi di far saltare il porto, già da tempo minato. Oggi, Trieste è una città quasi intatta. E chiudo rievocando un eroe padovano: Luigi Pierobon. Comandante di una Brigata, distintosi in centinaia di azioni rischiose, fu fucilato il 17 agosto 1944 dopo di essere stato arrestato nel tentativo di raccogliere in pianura altre forze per le formazioni partigiane. Agli sgherri che non gli concessero la fucilazione al petto disse: «Siete servi venduti; noi moriamo per l’Italia». La scarica lo colpì mentre stringeva nella mano la corona del Rosario, quella corona che la mamma gli aveva dato e che, nel testamento orale fatto al confessore, egli lasciò ancora alla sua mamma.

Lombardia e provincia di Novara

II primo rappresentante della Democrazia Cristiana in seno al Com.do Gen.le del C.V.L. fu la nobile figura di Galileo Vercesi, valoroso pioniere dell’antifascismo, arrestato nel marzo 1944 e fucilato il 12 luglio dello stesso anno presso Fossoli. È stato proposto per la medaglia d’oro alla memoria. Democristiani furono anche il Vice Com.te della Piazza di Milano ed il Capo di S. M. del Comando Regionale Lombardo. Fra le formazioni democristiane della regione, meritano particolare menzione: 1) II Raggruppamento Divisioni “Di Dio”, costituito da nove Divisioni su 44 Brigate e da 2 Brigate autonome, al comando di Alberto (al secolo Dott. Eugenio Cefis) e di cui era Commissario Politico Luciano Vignati. Il totale degli appartenenti a queste unità ammontava a 16 mila uomini. Le loro perdite furono: 512 morti, 630 feriti, 91 prigionieri e arrestati per motivi politici. Inflissero al nemico: 617 morti e 397 feriti. Catturarono 9.465 prigionieri. Degno di nota fu inoltre il S.I.M.N.I. (Servizio Informazioni Militari Nord Italia), organizzato da Giorgio Aminta e che, per mezzo di quattro stazioni radio alleate, servite dagli uomini del Com.te Ike, trasmise al Comando Superiore Alleato circa 350 messaggi al mese, fino all’aprile 1945. Il Maresciallo Alexander inviò un telegramma di plauso al capo di detto servizio, per le brillanti prove fornite. 2) Raggruppamento “Brigate del Popolo”, al comando di Franco Marra. Comprendeva tre divisioni su 29 Brigate, per un totale di oltre 7 mila uomini. Ebbe 37 morti, 56 feriti, 39 arrestati politici. Inflisse al nemico 188 morti e 124 feriti. Furono catturati 2.475 prigionieri. Queste brigate svolsero un cospicuo lavoro di collegamento, di sabotaggio, di propaganda e contropropaganda. Stamparono e distribuirono in numerose località della Lombardia giornali clandestini e manifesti antitedeschi. Nei giorni della liberazione, immobilizzarono le unità corazzate tedesche transitanti nella zona, fino all’arrivo delle colonne corazzate alleate. 3) Nelle zone di Brescia, Bergamo, Como e in Valtellina, i Padri Filippini della Pace, di Brescia, sostennero fino dal loro nascere numerose formazioni di partigiani che diedero vita, nell’estate del 1944, a ben 25 Brigate di Montagna. Esse, pur conservandosi rigorosamente apolitiche, accolsero nelle loro file un numero sempre crescente di giovani provenienti dalle organizzazioni cattoliche. Tale numero ammontava, nel periodo insurrezionale, a circa 5.500 uomini. Le perdite di queste Brigate — che erano rappresentate in seno al Comando Generale del C.V.L. dall’esponente della Democrazia Cristiana — furono: 61 morti, 45 feriti e 18 prigionieri. Al nemico inflissero 150 morti e 224 feriti. Segnalo l’opera svolta in seno a queste formazioni ed a favore delle stesse dal Dott. Sartorio Claudio e dalla Prof. Bianchini, i quali diressero successivamente anche l’Ufficio Assistenza alle famiglie dei patrioti caduti, presso il Comando Generale del C.V.L. dedicando la loro attività anche al giornale “Il Ribelle”. Numerosi furono i sacerdoti che si distinsero per la loro attività, subendo arresti e deportazioni, per aiutare questo movimento partigiano: Padre Manziana. Padre Rinaldini, Don Giacomo Vender, Don Nomolli, Don Almici, Mons. Fossati, Don Tedeschi il quale dopo essersi rifugiato a Milano perché ricercato accanitamente, non tralasciò di collaborare dal suo malsicuro nascondiglio al giornale clandestino “Il Ribelle”. E Don Carlo Comensoli, Capo di S. M. della Divisione “Tito Speri”; Don Milesi, Comandante Militare della Val Brembana e proposto per la medaglia d’argento al v.m., ecc.

Piemonte

Oltre alle formazioni del Novarese, già citate perché facenti parte del raggruppamento Divisioni “Di Dio”, dipendente dal Comando Regionale della Lombardia, operavano in Piemonte tre Divisioni democristiane, fra cui la Divisione “Patria” e l’VIII Divisione Vall’Orco e tre altre Divisioni composte quasi totalmente di elementi democristiani ma inquadrate nel Raggruppamento Autonomo del Comandante Mauri. In totale circa 6.500 uomini. Ebbero complessivamente 127 morti e 182 feriti. Inflissero al nemico 217 morti e 165 feriti. Furono da essi catturati 1.911 prigionieri. Numerosi i partigiani proposti per ricompense alla memoria ed al valore. La figura del patriota Laurenti Battista, proposto per la medaglia d’oro alla memoria, è sufficientemente caratterizzata da questo episodio: dopo numerose azioni di particolare audacia, che lo fecero promuovere per meriti eccezionali al grado di Comandante di Brigata, si presenta con 8 uomini armati di sole pistole, alla Caserma della Direzione d’Artiglieria di Torino; disarma le sentinelle e l’intero corpo di guardia, sorpresi da tanta audacia; tiene in scacco un centinaio di uomini fra cui il Colonnello Comandante, e si procura un forte carico di armi per la sua formazione. Sopravvenuti rinforzi nemici fa partire i compagni sull’automobile e, a piedi, copre la loro ritirata. Tornato in Torino, alcuni giorni dopo, per altra impresa del genere, è riconosciuto, immediatamente arrestato e, contro ogni legge di guerra, fucilato sul posto. La Divisione “Patria” — comandata dal Prof. Edoardo Martino (Malerba) — già protagonista dell’eroica resistenza opposta alle forze tedesche a Cantavenna nel novembre 1944 — per vendicarsi della quale il nemico distrusse sessanta delle centoquaranta case del paese, e prelevò ostaggi, fucilò civili, bombardò la Chiesa Parrocchiale ed il Cimitero — si meritò dal Magg. Leach, Capo della della Delegazione Militare Alleata per la provincia di Alessandria, ove fu paracadutato nel mese di marzo 1945, un lusinghiero elogio. Termino questo rapido sguardo alle formazioni partigiane del Piemonte dicendo che ad esse spetta il merito di aver liberato la regione e salvato le centrali elettriche e i grandi stabilimenti di produzione, prima ancora che le truppe alleate arrivassero nella zona. Ad onore dei partigiani piemontesi voglio ancora ricordare che, nella sfilata del 6 maggio 1945, a Torino, essendo presenti osservatori delle Missioni Militari Alleate, i partigiani di tutte le formazioni rinunciarono a portare i distintivi di partito (fazzoletti azzurri, rossi, ecc.), pur ad essi tanto particolarmente cari, e sfilarono come unica imponente massa, da nessuna ideologia politica divisa, unita in blocco indissolubile dallo stesso amore per l’Italia. A tale proposito mi piace rammentare come sempre la Democrazia Cristiana abbia avuto la tendenza a proporre e ad incoraggiare, per mezzo dei suoi rappresentanti in seno al Comando Generale del C.V.L., la riunione di tutte le formazioni partigiane in un unico esercito, superando ogni distinzione politica e qualunque desiderio di autonomia. A questa tendenza unificatrice la Democrazia Cristiana, che pure non aveva interesse politico alcuno a fondere le sue formazioni, tanto numerose, con quelle degli altri partiti, non tutte e non sempre ugualmente numerose, fu indotta dall’esperienza dei primi mesi di lotta e dalla convinzione che solo un comando unificato e la attenuazione — poiché la soppressione era impossibile — delle divergenze di carattere politico, potevano potenziare ulteriormente l’azione militare. Posso affermare quindi, con sicura coscienza, che fu anche merito della Democrazia Cristiana se notevoli risultati vennero conseguiti a tal riguardo.

Liguria

Non è possibile, per la Liguria, citare formazioni di partigiani totalmente democristiane, poiché nelle Divisioni e nelle Brigate liguri militavano, frammisti, partigiani di ogni colore politico. Ne la Democrazia Cristiana ravvisò l’opportunità di staccare i propri aderenti dalle unità in cui si trovavano, dato l’assoluto affiatamento raggiunto dai reparti e la reciproca tolleranza sulle questioni politiche — almeno nella maggior parte delle formazioni — e in considerazione anche della impossibilità di ottenere questo frazionamento e questa differenziazione delle forze politiche senza nuocere all’azione militare, che allora soprattutto importava. In tal modo, elementi della Democrazia Cristiana rimasero nelle formazioni garibaldine. Comunque una importante aliquota dei 15 mila partigiani che costituivano le forze insurrezionali delle quattro zone liguri e del Comando Piazza di Genova era di tendenze democristiane, così come democristiani erano molti dei comandanti di grado più elevato: l’Intendente e Tesoriere del Comando Regionale ligure, il Capo di S.M. del Comando Piazza di Genova, il Vice Com.te della VI Zona Ligure, il Com.te di una Divisione e quelli di due Brigate, il Com.te della Piazza di Albenga, ecc. Democristiano era pure il Com.te Bisogno, una fra le più belle figure del movimento partigiano ligure, caduto per la liberazione della sua terra e di cui oggi ancora si ricordano con immutate ammirazione e commozione le fulgide e quasi leggendarie gesta. Sulle montagne della Liguria tre sacerdoti caddero per portare l’assistenza religiosa ai loro partigiani.

Emilia

Esponenti della Democrazia Cristiana erano il Vice Com.te del C.V.L. Nord Emilia e il Commissario Politico della stessa zona, il Vice Com.te Regionale del Sud Emilia, il Com.te della Divisione Garibaldina Val d’Arda, il Capo di S.M. della XIII Zona del C.V.L. di Piacenza, il Commissario politico della I Divisione “Piacenza”, l’Ispettore del C.V.L. per il Nord Emilia e l’Ufficiale di Collegamento tra il Comando Generale del C.V.L. e il Comando Regionale Emiliano. Undici delle ventun Brigate del Nord Emilia erano democristiane ed agivano in parte autonome ed in parte raggruppate nelle Divisioni “Val Taro”, “Monte Orsaro”, “Ricci”, “Gruppo Brigate Cento Croci “. Nel centro e nel sud dell’Emilia, la Democrazia Cristiana aveva messo in campo altre brigate, quali la I e la II Brigata “Italia”, la Brigata “Orlandini” e reparti minori autonomi. Complessivamente circa 8 mila uomini di cui ben 271 morti e 266 feriti in combattimento. Ottantatre partigiani furono presi ed arrestati per motivi politici. Al nemico furono causate le seguenti perdite: 1612 morti e 731 feriti. Catturati 14.103 prigionieri. Fra le azioni di sabotaggio ricordo: il deragliamento di un treno militare tedesco sotto la ferrovia del Borgallone, che rimase ostruita per oltre tre mesi, e la sottrazione della dotazione di “radium” dall’ospedale di Modena, effettuata d’accordo con il Direttore. Furono prelevati 180 milligrammi di radium con il relativo blocco protettivo di piombo, del peso di circa un quintale, senza che nessun sentore del fatto giungesse alle numerose polizie operanti in città. In tal modo si prevenne l’attesa requisizione tedesca del prezioso elemento. Il Commissario Politico del Nord Emilia — l’on. Pellizzari — in pieno periodo di guerra, sotto gli occhi del nemico e della sua sbirraglia, fondò sezioni della Democrazia Cristiana in tutti i Comuni fra la Via Emilia e gli Appennini e tenne il primo convegno pubblico dei democristiani di tutta la zona. Ancora nel Nord Emilia il Comando Unico parmense, in comunicazione diretta con il Comando Alleato e d’accordo con esso, dopo aver per un anno dominato tutta la zona tra gli Appennini e il Po, in tre giorni di accanita battaglia, dal 7 al 10 aprile 1945, liberò tutte le città ed i paesi occupati dal nemico nelle retrovie del fronte; fece prigioniere tutte le guarnigioni tedesche e liberò le strade all’avanzata alleata, finita la quale consegnò agli alleati 17.800 prigionieri, di cui almeno 8500 catturati dalle Brigate della suddetta Divisione. Sempre nell’Emilia, non si può tacere di Don Anelli, parroco di Belforte in Val di Taro, che due volte passò a piedi le linee e due volte le ripassò in volo portando con il paracadute, al Comando Unico parmense i fondi inviati dal Governo di Roma, ed assumendosi le più rischiose missioni. E Franco Franchini, Ufficiale Ispettore del Commissario Politico Pellizzari, che, gravemente ferito e fatto prigioniero dai tedeschi, entrò in Berceto su una barella, cantando: «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta». E oltre a questi autentici eroi, altri non meno valorosi: Pestarini, i fratelli Cacchioli (alias Beretta), Giuffra, Richetto, e centinaia ancora di cui a malincuore, per mancanza di tempo, dobbiamo tacere i nomi.

Toscana

Nel marzo 1944 si costituì presso Massa la formazione partigiana denominata “Gruppo Patrioti Apuani”, la quale poco più tardi già riuniva 1.500 armati. La formazione ebbe una esistenza travagliata, in continua lotta con il fortissimo presidio di Massa e con altre unità nemiche di passaggio nella zona. Le condizioni di vita divennero ancor più difficili dopo il settembre 1944, quando i tedeschi con reparti di SS e di carri armati, con cani poliziotti e gas asfissianti rastrellarono e devastarono la zona, facendo evacuare Massa, incendiando 35 paesi di montagna, uccidendo e bruciando donne e bambini. In tali condizioni non è meraviglia se il gruppo ebbe oltre 180 morti (il 12 per cento della forza) e 520 feriti (il 42 per cento della forza). Fra questi si contano 130 mutilati ed invalidi. A Firenze, l’Avv. Francesco Berti della Democrazia Cristiana, fino dal settembre 1943, iniziò, d’accordo con altri esponenti del partito, la costituzione di formazioni militari democristiane. Nella primavera del 1944 la forza dei gruppi organizzati ed armati, nella città di Firenze, era di 200 uomini, all’epoca dell’attacco, era salita a 800. Fuori città si costituirono il Raggruppamento Bande “Pio Borghi” e la “Formazione Tricolore Perseo”, che riunivano nelle loro file complessivamente 850 partigiani, bene armati ed addestrati. Dette formazioni ebbero, in totale, 31 morti, 29 feriti e 27 arrestati per motivi politici o catturati in combattimento. Inflissero al nemico, a tutto il 27 agosto 1944, 53 morti e 71 feriti, facendo 243 prigionieri. Alla liberazione di Firenze, alcune bande della Democrazia Cristiana continuarono a combattere con gli Alleati sulla linea del Mugnone, costituendo la Compagnia “Goffredo Mameli”. Non mi è possibile parlare della resistenza nell’Italia Centrale, in quanto non mi è nota, nei particolari, la situazione di quelle regioni; infatti il mio incarico di Comandante delle Forze Partigiane della Democrazia Cristiana per l’Alta Italia e di componente del Comando Generale C.V.L., mi ha posto in condizione di conoscere a fondo il movimento partigiano solo nelle province situate al nord della linea gotica. Riepilogando, il totale delle forze che combatterono affiancate alla Democrazia Cristiana nel territorio di mia competenza, fu di 65 mila uomini, raggruppati in 181 Brigate o Unità corrispondenti. Tali effettivi, con gli ausiliari e con le forze aggiuntesi nei giorni dell’insurrezione, salirono a circa 80 mila uomini. Le perdite partigiane furono: 1.976 morti, 2.439 feriti, 337 prigionieri. Quelle nemiche: 4.057 morti, 2.631 feriti, 54 mila circa i prigionieri. Questo il contributo della Democrazia Cristiana alla vittoria comune. Tali cifre, senza nulla togliere al valore delle truppe alleate operanti in Italia, alle quali spetta il merito esclusivo di aver spezzato la linea gotica ed annientato le più forti unità nemiche ed alle quali va, ancora una volta, la nostra sincera e profonda riconoscenza; tali cifre, dicevo, mostrano tuttavia, quanto l’avanzata alleata sia stata, in un secondo tempo, facilitata da queste schiere di eroici partigiani — garibaldini, democristiani, appartenenti alle Brigate “Giustizia e Libertà”, Matteotti, ed Autonome — che, fraternamente uniti, non si limitarono ad attaccare le colonne tedesche in ritirata, ma che tennero impegnata durante tutta la guerra partigiana, fino a nove Divisioni naziste e la totalità delle forze repubblicane, che furono così interamente immobilizzate nel Nord Italia. Tali forze essi le logorarono e quindi le costrinsero a capitolare. Ho così terminato questa rapida ed incompleta rassegna dell’opera della Democrazia Cristiana e delle Formazioni Partigiane ad essa affiancate. Altre ancora operarono nelle diverse regioni dell’Italia settentrionale, ma dovetti rinunciare a comprenderle in questa breve rievocazione perché la difficoltà estrema di vincere la naturale modestia e la riservatezza dei Comandanti mi privò spesso degli elementi necessari a poter parlare, con sicura conoscenza, di tali formazioni. Per capire ancora meglio quanto sia difficile convincere questi nostri ragazzi a comunicarci la storia dei loro reparti, si aggiunga poi la ripugnanza che il combattente — e soprattutto il combattente delle Bande partigiane — prova a compilare delle “relazioni”, a congelare nel freddo schema di un resoconto ufficiale lo slancio ardente e le appassionate vicende di una lotta eroica, la quale ubbidiva più agli impulsi improvvisi del cuore che ai saggi dettami della ragione; ma forse appunto perché questa sua apparente irrazionalità il combattente partigiano potè osare e vincere anche là dove nessun ragionamento, nessuna scienza militare avrebbe lasciato adito alla speranza. Io non oso dunque asserire che le cifre riferite nel corso di questa esposizione siano definitive e complete. Una sola cosa si può di esse affermare: tutte furono accertate e controllate. Ma quanti altri dati potranno venir ancora raccolti con una indagine più minuziosa, con un lungo e paziente lavoro di ricerca presso i singoli comandanti delle minori unità, presso tutti quegli umili e valorosi artefici della vittoria che sono i nostri partigiani. Signori, io vi ho parlato oggi di quell’Italia che ha combattuto contro il nazismo e contro il fascismo all’ombra della bandiera della Democrazia Cristiana, ma quando si pensi che altri italiani furono al fianco di questi nostri ragazzi e, pur sotto altre bandiere più o meno differenziate — nelle Divisioni garibaldine, nelle Brigate Matteotti, nelle Brigate Giustizia e Libertà, nelle Formazioni Autonome — gareggiarono con essi in valore e spirito di sacrificio, affratellati nella più schietta collaborazione, allora vien fatto di stupirsi che alcuno osi ancora oggi — dopo tante e sì mirabili prove — dubitare della capacità del nostro popolo a reggersi da solo in forme di vita democratica e libera. Ma ogni nostra Divisione, ogni nostra Brigata, fu un piccolo capolavoro di collettività democraticamente retta, pur nella necessaria disciplina imposta dalle esigenze militari del momento. Ogni nostra formazione fu un miracolo di equilibrio e di moderazione, pur nella arroventata atmosfera del combattimento, pure a contatto con quell’acre propaganda di odio e di crudeltà con cui il governo repubblicano tentava di avvelenare gli spiriti della gioventù italiana. Questi nostri partigiani che, grazie alle loro convinzioni religiose, ed alla mitezza dei loro costumi, stabilirono dovunque furono presenti un ordine civilmente cristiano, ci dicono con il muto, ma eloquente linguaggio delle loro gesta che non bisogna disperare, che sono ancora per noi disponibili nel fondo della nostra natura e dalla stirpe italica inesauribili valori divini ed umani affidandoci ai quali ogni rinascita sarà possibile. Noi democristiani, che fummo designati dalla fiducia di milioni di italiani ad interpretare le aspirazioni di tanta parte del nostro popolo, abbiamo anche la grave responsabilità di non venir meno all’aspettativa di coloro che di questo popolo furono la parte migliore: i partigiani. Essi guardano a noi con affettuosa simpatia, con la certezza che noi li comprendiamo, che li accoglieremo fra di noi per aiutarli nelle infinite loro necessità, per riscaldarli con il nostro affetto. Molti di essi hanno tutto dato; tutti furono pronti a dare la vita stessa per la nostra Patria e per la libertà. Ad essi che tutto hanno dato senza nulla chiedere, noi, che fummo dalla guerra immensamente meno provati, mostriamo con i fatti la nostra profonda sincera imperitura riconoscenza.


www.ildomaniditalia.eu articolo della redazione 25 aprile 2019



Citazione medaglia d'Oro al valor militare alla bandiera


«Nell’ora tragica della Patria, quasi inermi ma forti per sovrumana volontà, tutto sacrificando a un ideale supremo di giustizia, i Volontari della Libertà affrontarono la lotta ad oltranza contro la tirannide che ancora una volta opprimeva la nostra terra. in una sfida superba al secolare nemico, dall’esempio dei martiri e degli eroi del passato trassero incitamento per vincere o morire, innalzando nella lotta la bandiera invitta del Risorgimento. Appesi alle forche e sotto il piombo del barbaro nemico morirono intrepidi rinnovando il sacrificio dei Manara, dei Morosini, dei Mameli, dei Pisacane senza speranza di premio per sé, ma con certezza di bene per la Patria. Nuovo onore della Stirpe, i Volontari della Libertà sono, nella storia d’Italia, monito alle generazioni future.»

— Guerra di Liberazione, 1943 - 1944 - 1945.








lunedì 30 marzo 2020

Discorso del Presidente a Licata, luglio 2019


Il 10 luglio del 1943 sbarcarono su questa spiaggia tre reggimenti di fanteria della Terza Divisione Americana, che ho l’onore di rappresentare nella mia nazione, l’Italia, erano il 7° il 15° ed il 30°.
Tutto quanto ho fatto fino ad oggi, fino a questo momento in cui parlo a voi, è nato dalla voglia di raccontare gli uomini divenuti soldati, le loro gesta ed il loro sacrificio.
Da queste ricerche, fatte anche sui soldati della Terza Divisione è arrivato un riconoscimento dall’associazione che rappresenta negli Stati Uniti une delle divisioni più amate, la Terza.
In seguito arrivò la richiesta di riempire un vuoto che sentivano da tanto tempo; una sezione Italiana, in quell’Italia dove erano sbarcati, prima a Licata, poi a Salerno ed infine ad Anzio, con migliaia di caduti, feriti, dispersi e centinaia di medaglie.
In Sicilia sbarcarono 160.000 uomini, con 285 navi da guerra, 2775  mezzi di trasporto e 4000 aerei.
Migliaia di storie, migliaia di vite, di affetti, fatte venire da lontano con un solo preciso messaggio, liberare l’uomo dalla schiavitù, dalla tirannia.
La Terza Divisione di Fanteria fece proprio questo messaggio nella prima guerra mondiale, in Francia e poi nel secondo conflitto mondiale, attraversando il Nord Africa, l’Italia, la Francia e la Germania.
In occasione del 76° anniversario, sono onorato di rappresentare la Terza Divisione di Fanteria e onorato di aver conosciuto qui a Licata persone come Carmela Zangara, Il Vice Sindaco Angelo Vincenti, l’associazione Memento e tutte le persone incontrate in questi giorni.
Come già fatto lo scorso 18 maggio, presso il cimitero Tedesco di Caira, a Cassino, in occasione del 75° anniversario della battaglia, il pensiero va al nemico di ieri, che oggi ha la mia stessa cittadinanza.
Lessi un giorno in un libro, del fastidio che provavano gli stessi soldati della Terza Divisione nel vedere gli Italiani a Palermo esultare al loro passaggio ed inveire contro i soldati Italiani che sfilavano prigionieri, rei solo di rappresentare quello che si voleva dimenticare al più presto.
Ma erano soldati, uomini, Italiani e non posso iniziare il mio primo discorso da presidente della Rappresentanza Italiana della Terza Divisione di Fanteria Americana senza onorare la mia bandiera e ricordare il valore di coloro, che in condizioni di assoluta inferiorità di mezzi, equipaggiamento e rifornimenti, non videro una sola nave Italiana venire in loro appoggio, non un solo aereo Italiano volare nel cielo e in alcuni casi non videro nemmeno un tedesco al loro fianco. Eppure si batterono, per il giuramento fatto alla bandiera, alla nazione o solo per l’onore del loro reparto, per il compagno che avevano accanto ed  ebbero decine e decine di caduti, dimenticati dalla storia, ma non dalle loro madri, dalle loro mogli, dai figli e da tutti coloro che li conobbero come uomini.
A loro gli Onori dell’Associazione della Terza Divisione di Fanteria.
Uomini vi dicevo, venuti dagli Stati Uniti e sbarcati qui. Ma anche reggimenti che segnarono la storia della Seconda Guerra Mondiale in Europa e che iniziarono da qui la loro avanzata.
Su tutti, tre storie di soldati, tre storie di uomini e tre reggimenti.
Maurice Lee Britt, dell'Arkansas, detto “footsie” “piedino” perchè aveva 47 di piede; il classico ragazzone americano, campione di football, tanto da ottenere un ritardo nella partenza per la guerra e venne arruolato nel 30° reggimento di fanteria della terza divisione come ufficiale.
Conquistò subito la stima dei suoi soldati già nel periodo dell’addestramento, li portò in battaglia nello sbarco in nord Africa e si distinse subito per un’attacco verso delle postazioni di cannoni nel castello di Fedala, che infierivano sui fanti americani che sbarcavano.
Sbarcò a Licata e forte del suo fisico, ottenne dai suoi uomini la più lunga marcia a piedi e nel minore tempo fatta da un battaglione dell’esercito degli stati uniti, 87 km in 30 ore, da Licata fino a Palermo, a luglio, con temperature oltre 40 gradi, senza acqua e cibo e partecipando per primi ai combattimenti per la liberazione di Palermo.
Sbarcò a Salerno e nei pressi di Acerno, attaccò da solo dei nidi di mitragliatrici che falciavano i fanti americani e li distrusse, rimanendo ferito e meritando una prima medaglia, nei giorni successivi salì da solo su monte San Nicola, senza ripari, per prendere un suo soldato che era stato ferito da un cecchino ed era precipitato tre le rocce riportandolo indietro, meritando per quest’azione una seconda medaglia.
A Monterotondo, a nord di Caserta, sulla Winter Line, organizzò con pochi uomini la difesa di un settore del monte, divenendo, come dissero i suoi soldati, un esercito di un soldato solo, combattendo per tutto il giorno da solo e correndo per tutto il fronte lanciando bombe a mano e sparando con tutto quello che trovava. La montagna non fu riconquistata e alla fine di un battaglione rimasero in 5 su quella vetta.
Quando i tedeschi si ritirarono, scese verso l’infermeria, con una scheggia nel piede, una nei polmoni ed una ferita al braccio profonda fino all’osso, chiese al capitano medico solo una fasciatura e della polvere disinfettante per tornare sulla vetta di quella collina dai suoi uomini. Il capitano medico disse che quando usci dalla tenda, tutti i soldati con piccole ferite decisero di allontanarsi dalla fila.. per queste azioni ebbe la Medal Of Honor
Ad Anzio, dopo lo sbarco, utilizzò la sua velocità per attirare il fuoco delle mitragliatrici e permettere ai mortai di individuarle e si offrì volontario con altri 3 capitani per una missione di ricognizione verso le linee tedesche.
Fu qui che si accorse del grande contrattacco di carri armati in corso e organizzò il tiro dell’artiglieria navale dalla sua posizione, in una vecchia casa semi distrutta. Un carro tedesco sparò verso la casa dove era nascosto e lo scoppio gli portò via un braccio.
La sua unica frase fu il dispiacere di aver perso il braccio con il quale tirava il pallone da footboll
Fu quella la fine della sua guerra, tornò a casa e divenne il secondo soldato più decorato della storia degli stati uniti.
Era sbarcato a Licata.
Sbarcò a Licata anche Audie Murphy, un ragazzino, un leone, faceva parte del 7° reggimento, combattè a licata, e nei primi minuti dello sbarco perse subito un soldato, ucciso da una scheggia di artiglieria,  fece la stessa strada degli altri, Sicilia, Salerno, Winter Line, Anzio, Roma, Francia, Germania, fu ferito e decorato diverse volte, arrivò un giorno nel bosco di Colmar in francia al confine con la Germania e si accorse che i suoi erano tutti morti, era rimasto da solo; salì su un carro in fiamme ed inizio a combattere contro un reggimento tedesco che stava contrattaccando. La fortuna era dalla sua parte quel giorno, uccise oltre 200 tedeschi e rimase illeso, ottenendo per le sue gesta la Medal of Honor. Alla fine della guerra tornò a casa e divenne il soldato più decorato della seconda guerra mondiale, con 24 medaglie.
Era sbarcato a Licata.
Sbarcò anche Floyd K Lindstrom, di Colorado Sprigs, Floyd ebbe una vita più tormentata, la madre fuggi dal marito alcolizzato e violento e insieme alla figlia e Floyd, che aveva cinque anni, si rifugiarono in una casa famiglia dove fece la lavandaia.
Floyd, dopo la scuola, entrò a lavorare come camionista nei magazzini Soomers, distribuiva prodotti alimentari nella costa ovest degli stati uniti, il suo sogno era di trovare un amore e costruire un piccolo ranch in campagna. L’amore lo trovò subito in una splendida ragazza, che neo giorni dell’attacco a Pearl Harbor mori per un problema cardiaco. Per tutta la durata della guerra, finchè resto in vita, Floyd chiese alla madre di mettere fiori sulla tomba e quando si accorse che a casa non c’erano tanti soldi spediva tutta la sua paga per le necessità familiari e per i fiori.
Pochi chilometri fuori Licata, durante un attacco aereo si accorse che un camion , lasciato vuoto sulla strada, senza freno a mano, stava per colpire dei soldati riparati, corse sotto le mitragliate degli aerei togliendo il camion dalla strada salvando quei soldati, meritando la prima medaglia.
Raggiunse anche lui la winter line, negli stessi giorni di Maurice Britt e di Audie Murhy, erano ognuno in un battaglione diverso. Murphy al centro della valle era in pattuglia avanzata, dall’altra parte del monte Maurice Britt combatteva da solo sulla collina e lui, Floyd saliva per la montagna più alta, quasi mille metri, monte La Defenza, 4 ore di salita su un terreno difficile e con i tedeschi che sparavano dall’alto. Arrivò sulla vetta con la sua mitragliatrice proprio nel momento in cui i tedeschi contrattacavano e per evitare che uccidessero i suoi compagni più in basso, si sposto in una zona più aperta, attirando su di se il fuoco ed inizio a combattere con la sua mitragliatrice fermando l’attacco, quando si accorse di aver finito i colpi, decise che la cosa più comoda era di prenderne una ai tedeschi, avanzo strisciando con la sola pistola e uccise tutti i tedeschi di una postazione prendendo la mitragliatrice e ritornando nella sua postazione continuando a bloccare l’attacco. Per le sue azioni di quel giorni ottenne la Medal of Honor.
Dopo lo sbarco di Anzio gli dissero che c’èra la cerimonia per la consegna della medaglia e lui disse che non avrebbe mai abbandonato i suoi soldati e parti per un attacco.
Quel giorno andò a male per tutti, la terza divisione perse quasi 900 soldati, durante la ritirata Floyd disse ai suoi amici di tornare indietro, lui avrebbe coperto la ritirata con la sua mitragliatrice, i soldati si ritirano e furono salvi ma non rividero più Floyd, colpito da una granata fu dato per disperso per oltre 5 mesi e ritrovato il giorno prima dello sbarco in Normandia, il 5 giugno del 1944, riconosciuto solo dalla sua piastrina.
Oggi riposta accanto alla sua fidanzata e gli amici dell’American Legion, sezione 5 di Colorado Springs non le fanno mai mancare i fiori…
Era sbarcato a Licata.
Il 7° il 15° ed il 30° entrarono in Germania, c’era solo A. Muphy, Britt aveva finito la guerra da un pezzo e Floyd riposava a Nettuno.
Liberarono Monaco, Norimberga, la città simbolo del nazismo, furono loro ad ammainare la bandiera dal balcone di marmo bianco del reich.
E furono loro i primi a salire a Berchtesgarden, il rifugio delle aquile di Hitler ed ammainare le bandiera nazista.
I tre reggimenti erano sbarcati a Licata disseminando mezza europa di loro croci, ricevendo saluti, baci, abbracci dalle popolazioni che man mano avevano liberato, fino ad arrivare in Germania.
Uno di questi tre soldati, Audie Murphy, in una camera di albergo in Francia, dopo la fine della guerra, quando stava per tornare ad essere un uomo e non più un soldato scrisse queste poche parole, che sono secondo me il testamento del soldato, di qualsiasi colore, bandiera o razza sia.




Vi ringrazio per l’attenzione

mercoledì 12 febbraio 2020

Pearl Harbor

Pearl Harbor
La portaerei USS Abraham Lincoln attraversa il Memoriale dedicato all' USS Arizona all'arrivo alla Joint Base di Pearl Harbor-Hickam, Hawaii, 8 gennaio 2020. 
L'arrivo è  parte di uno spiegamento in tutto il mondo che include un trasferimento della portaerei dal porto di origine a San Diego.


  Tutto il personale della portaerei è schierato per rendere gli onori.
  Hawaii, 8 gennaio 2020

Reconnaissance Course



Reconnaissance Course
Navy Seaman Luke Jacobs, a student with the Basic Reconnaissance Course, Advanced Infantry Training Battalion, School of Infantry - West, begins the land navigation evaluation as part of the course’s individual skills phase at Marine Corps Base Camp Pendleton, Calif., Jan. 15, 2020.



Gli Onori ad Arlington

Soldati e Marine, danno la scorta funebre e gli onori militari per il soldato dei Marine, Pfc. Edward Nalazek  presso il Cimitero Nazionale di Arlington, in Virginia, il 10 febbraio 2020. 
Nalazek fu ucciso nel 1943 durante la Battaglia di Tarawa della Seconda Guerra Mondiale. 

La Defense POW / MIA Accounting Agency ha annunciato che i suoi resti sono stati trovati lo scorso anno.



  Ben tornato a casa Edward, "sit tibi terra levis" 





martedì 4 febbraio 2020

Dal nostro socio Onorario Keith LaMee, il racconto di un soldato della compagnia di Floyd.

Keith LaMee, presidente dell'American Legion di Colorado Springs, sez.5 dedicata a Floyd K. Lindstrom, ci invia un racconto di un soldato che ha combattuto con Floyd.

Il 3 febbraio 1944 eravamo ad Anzio vicino a quella che era chiamata la "fabbrica", il soldato semplice Floyd K. Lindstrom cercò di resistere ad un grande contrattaco tedesco. 

Quando divenne evidente che il posto che Floyd ed io, l'assistente alla mitragliatrice, soldato semplice Marvin D Crone, eravamo in posizione ormai indifendibile. 

Floyd mi disse di ripiegare e mi avrebbe seguito. Ho detto al mio amico Floyd ci vediamo tra pochi minuti,  mentre andavo via. 
Non avevo dubbi che Floyd sarebbe arrivato, perché non gli succedeva niente in battaglia.

Ricordo che mentre eravamo in Sicilia, nel luglio 1943, Floyd salvò quel camion; uomini e munizioni, durante un attacco di caccia 109 senza un graffio e io rimasi al riparo, come mi disse Floyd.

Lo guardavo correre dietro a quel camion che si allontanava verso quegli altri ragazzi che avevano pensato fosse una buona idea accucciarsi sul lato in discesa della strada. 

Alcuni dei nuovi si dimenticarono di mettere il freno e sono scappati a ripararsi. 

Floyd corse dietro al camion saltò e lo guidò in un terrapieno. 
Era abbastanza grande da fermare il camion e non farlo passare sui nostri ragazzi del 7°. 

Floyd disse di non aver fatto nulla per ricevere la Silver Star, ma tutti pensarono il contrario.

Poi l'11 novembre 1943 Floyd, io e pochi altri ragazzi dovevamo sostenere quella compagnia di fanteria che saliva verso monte camino, una zona montagna in Italia. 

I tedeschi avevano la cima della collina in cui ci trovavamo e  decisero di iniziare a colpire i nostri ragazzi con colpi di mortaio e le loro mitragliatrici. 

C'era un buon gruppo di tedeschi proprio su per la collina che ci separava direttamente. 

I tedeschi fecero indietreggiare quella compagnia della nostra fanteria e l'altra mitragliatrice posta là fuori per aiutarci era nel posto sbagliato, così rischiavamo di lasciarci la pelle. 

Floyd non era preoccupato, ma prese la nostra mitragliatrice raffreddata ad acqua e disse che andava dietro ai crucchi e che dovevamo restare lì e dargli un po' di fuoco di copertura. 

La cosa che mi ha fatto pensare che fosse un po' pazzo è che la mitragliatrice pesa circa 110 libbre e Floyd era intorno ai 160, ma immagino che quel camion che guidava prima della guerra abbia reso questo vecchio forte come un toro. 

La collina era molto ripida e rocciosa. Floyd una volta ha detto che era un po' come quelle che abbiamo in Colorado. 

Così, dopo essere arrivato a circa 10 metri della mitragliatrice tedesca, Floyd posò il nostro fucile, tirò fuori la sua 45 la caricò e uccise i due artiglieri tedeschi. 

Floyd afferrò la loro mitragliatrice e ci portò da noi. Vedendo che avevamo bisogno di munizioni, Floyd tornò sulla collina e prese due scatole di munizioni tedesche da usare, per poi risalire la collina e prendere la nostra mitragliatrice Browning. 

I tedeschi si ritirarono dopo pochi minuti. Non potevo credere che Floyd non fosse ferito durante quel giorno sulla collina. Tutti i tedeschi cercavano di colpirlo, ma continuavano a mancarlo. 

I tedeschi cominciarono a tentare di stendere Floyd con le granate ma ancora niente. Non le abbiamo contate tutte, ma pensiamo fossero circa 35. 

Ebbene, a causa di questa cosa Floyd spezzò quel contrattacco dei tedeschi e fu candidato alla Medaglia d'Onore. 

Floyd non era troppo contento perché questo significava che sarebbe stato tirato fuori dalla prima linea e sarebbe andato a incontrare il presidente degli Stati Uniti per prendere la medaglia.

Floyd disse che il suo compito era di assicurarsi che i suoi ragazzi stessero bene durante questa guerra e noi iniziammo a chiamarlo "Pops" per divertimento. 

Io avevo vent'anni e Floyd ne aveva più di 30 anni quando è stato arruolato.

Floyd si prendeva cura di noi, ricordo lo sbarco del 22 gennaio ad Anzio, disse che che avevamo troppa attrezzatura per andar ein acqua per primi, non sapevamo quanto era profonda.
Così si guardò intorno e vide sul mezzo un nuovo ragazzo, il soldato James Arness, alto circa un metro e mezzo e uscì con lui per primo, quando vedemmo che si erano solo bagnati capimmo che per noi andava bene scendere li.


Il 3 febbraio 1944, mentre mi guardavo indietro per aspettare che Floyd venisse da me, verso il mio posto dietro quel muro, vidi che i tedeschi avevano davvero iniziato a fare del loro meglio per mettere fuori combattimento la mitragliatrice di Floyd. 

Con tutte le armi di piccolo calibro che sparavano a Floyd, credo che non credesse che avessero granate. Beh, tutte insieme, tipo 4 o 5 colpirono dove c'era Floyd. 

Dopo che hanno sparato, Floyd ha smesso di rispondere al fuoco. Con i tedeschi in corsa in quel punto non potevo tornare indietro e controllare per vedere se potevo aiutare Floyd. 

L'Esercito indicò Floyd come disperso in azione fino al 6 giugno 1944, quando l'Esercito disse di aver ritrovato Floyd. 

Il 20 aprile 1944 a Colorado Springs Anna Lindstrom ricevette la Medaglia d'Onore di Floyd. 

I Cottonbalers fecero una cerimonia per la medaglia di Floyd. 

Ho spedito una copia del foglio che l'unità ha fatto per onorare Floyd. 
Tutto quello che so è che se Floyd non ci fosse stato tutte quelle volte io non sarei qui.




domenica 26 gennaio 2020

Anzio, remembering the Third Infantry Division

Anzio, ricordando la Terza Divisione di Fanteria, un viaggio alla scoperta di tre zone importanti per tutti coloro che ricordano onorano e amano la storia e gli eroi della Terza Divisone di Fanteria.
Abbiamo a lungo controllato le mappe dell'epoca, i racconti i diari di guerra e possiamo dire, con un margine piccolo di errore, che le zone che vedrete di seguito sono quelle che hanno visto tre grandi eroi conquistare la Medal of Honor.
L'emozione è stata grande, come il silenzio tra di noi, mentre leggevamo quanto è accaduto in questo lembo di terra Italiana.


Anzio, remembering the Third Infantry Division, a journey to discover three important areas for all those who remember honor and love the history and heroes of the Third Infantry Division.

We have long checked the maps of the time, the stories, the war diaries and we can say, with a small margin of error, that the areas you will see below are those that have seen three great heroes conquering the Medal of Honor.

The emotion was great, like the silence between us, as we read what happened in this strip of Italian land.




Direttrice d'attacco del 30° Rgt. della Terza Divisione di Fanteria, qui Maurice Lee Britt avanzò con tre dei suoi per cercare le tracce di un possibile contrattacco, si posizionò in una delle case in fondo (che stiamo identificando) e da li diede indicazioni all'artiglieria per colpire i carri tedeschi in avanzata.

Attack Director of the 30th Rgt. of the Third Infantry Division, here Maurice Lee Britt advanced with three of his to search for traces of a possible counterattack, positioned himself in one of the houses at the bottom (which we are identifying) and gave them indications to the artillery to hit the German tanks in advanced.


In seguito tutto il 30° Reggimento avanzò in questa zona e poi si ritirò per effetto del contrattacco tedesco.

Subsequently, the entire 30th Regiment advanced in this area and then withdrew as a result of the German counterattack.





Zona dell'avanzata del 7° Reggimento della Terza Divisione di Fanteria. Tra questi c'èra Floyd K. Lindstrom (probabilmente la sua compagnia era sulla sinistra della foto). Floyd rimase a coprire le spalle dei suoi compagni con la sua mitragliatrice e fu centrato da un colpo di mortaio. Fu ritrovato 4 mesi dopo e riconosciuto dal solo piastrino.

Zone of the advance of the 7th Regiment of the Third Infantry Division. Among these was Floyd K. Lindstrom (probably his company was on the left of the photo). Floyd remained to cover the shoulders of his companions with his machine gun and was hit by a mortar. It was found 4 months later and recognized only by the plate.




Da questa collina discese Sylvester Antolak, Medal Of Honor, la sua storia e le sue gesta sono conosciute da tutti coloro che onorano il coraggio e le gesta eroiche.
Questa è la collina da cui discese, con il braccio fracassato, continuando a sparare verso una seconda postazione di MG. finendo poi ucciso.
Antolak è sepolto nel Cimitero militare Americano di Nettuno.

From this hill came Sylvester Antolak, Medal Of Honor, its history and deeds are known by all those who honor courage and heroic deeds.
This is the hill from which he descended, with his arm smashed, continuing to shoot towards a second MG post. ending up killed.
Antolak is buried in the American military cemetery in Nettuno.


Le ricerche per determinare con maggiore precisione il punto o la zona dove questi eroi sacrificarono la loro vita o rimasero gravemente feriti, continuano.

Research to more precisely determine where or where these heroes sacrificed their lives or was seriously injured continues.




Monumento dedicato alla Terza Divisione nel Bosco del Foglino
Monument dedicated to the Third Division in the 
"Bosco del Foglino"

 





Rievocatori della Terza Divisione di Fanteria ad Anzio
Reenactors of the Third Infantry Division in Anzio





mercoledì 22 gennaio 2020

22 gennaio 1944 sbarco di Anzio, memorie

Frank S. Pistone

memoria scritta nel 2010


"La mia vita in combattimento durante la seconda guerra mondiale".

Frank S. Pistone, 
3° Inf. Div.  - 7° Inf. Rgmt - Company L



Il nostro Convoglio ha lasciato il porto il giorno dopo (20 gennaio). 1944) la nostra destinazione era ancora sconosciuta, perché non ci era stato detto nulla, infatti come fanteria, soldati, non ci era mai stato detto molto di nulla, (tranne che di mantenere la posizione o di attaccare) Ma appena eravamo in alto mare, il nostro ufficiale di plotone ci chiamò, e poi aprì una busta e ci informò, che ci stavamo dirigendo a nord del luogo della battaglia del Monte Casinò, per fare uno sbarco sulla spiaggia, vicino a un villaggio sul mare chiamato Anzio, che si trovava a sud della capitale italiana di Roma e a nord della battaglia del Monte Casinò. La nostra missione era quella di combattere la nostra strada verso l'entroterra, e di tagliare i rifornimenti e le truppe tedesche, che venivano quotidianamente inviate all'esercito tedesco, sul monte Casinò, che sarebbe stato poi costretto a ritirarsi e a cercare di fuggire a nord verso Roma.
Il generale al comando del teatro operativo del Mediterraneo era un feldmaresciallo britannico, che aveva ordinato questo tentativo tattico di aggirare la battaglia di Cassino a sud. Si sospettava che l'idea fosse venuta da Londra, ma i nostri superiori americani ritenevano che non avessimo la potenza umana o l'equipaggiamento per il successo di questo piano, qualche anno dopo la guerra ho appreso che c'era un attrito tra i militari americani e quelli britannici, immagino che gli inglesi si fossero dimenticati che li avevamo leccati a Yorktown e New Orleans e che in questa guerra dovevamo essere alla pari.
In mare, la nostra flotta doveva aver navigato in cerchio per i due giorni successivi, ma alle 2 del mattino del 22 gennaio 1944, ci fu ordinato di raccogliere la nostra attrezzatura, (avevo un fucile, una cintura di munizioni, diversi bandolieri di munizioni, sei granate, tre giorni di rifornimento di cibo, e come corriere del plotone portavo la radio a batteria del plotone) Siamo pronti a lasciare la nostra nave. Ci fu ordinato, di saltare dalla nostra nave, sul battello di sbarco della fanteria, conosciuto come attacco LCI, che ci avrebbe portato a riva, Dopo aver percorso una breve distanza, il marinaio che guidava questa barca, o come si chiamava, fermò il battello, abbassò la rampa anteriore e ci ordinò di andarcene e di camminare per il resto della strada, perché l'acqua era poco profonda e non poteva andare oltre. Obbedimmo e cominciammo a camminare verso la spiaggia, in circa quattro metri di acqua molto fredda, Fu un evento strano perché non sentimmo un solo colpo di fucile.
Ci siamo poi riuniti sulla spiaggia con il nostro luogotenente, che ci ha ordinato di avanzare verso l'interno, in modalità di combattimento e di non fare rumore, Come ordinato, abbiamo iniziato a camminare verso l'interno, molto sorpresi e felici di non aver incontrato alcuna resistenza, sulla spiaggia. Erano circa le 3 del mattino di una notte molto fredda e buia. Molti dei contadini possedevano cani nelle loro fattorie e devono aver percepito la nostra presenza, perché hanno cominciato ad abbaiare. Tutti noi desideravamo che stessero zitti e andassero a dormire, perché se i soldati tedeschi erano nelle vicinanze, avrebbero certamente controllato, perché i cani stavano tutti abbaiando, qualche potere deve aver vegliato su di noi, perché il nemico non ha risposto e abbiamo continuato la nostra avanzata, per circa sei miglia, fino all'alba, senza alcuna opposizione.
Nei giorni successivi, occupammo una zona di testa di mare che era approssimativamente, larga 12 miglia, lungo la costa e profonda sei miglia al centro, con le montagne davanti a noi e il mare alle nostre spalle. Questa è stata la nostra casa per i quattro mesi successivi. A quanto pare, avevamo temporaneamente sorpreso le forze tedesche in Italia, con il nostro sbarco, Uno strano ricordo che ho, di questi primi giorni, è stato quello dei momenti emozionanti e spaventosi che abbiamo avuto, durante le prime notti sulla testa di ponte. Perché l'aviazione tedesca ci ha attaccato con grandi attacchi aerei, con centinaia di loro aerei e anche con i loro nuovi droni senza pilota, sganciando bombe su tutta la testa di ponte, le nostre batterie di proiettori antiaerei, hanno illuminato il cielo con le loro potenti luci, mentre i nostri cannoni sparavano molte granate antiaeree, fino al cielo soprastante, per distruggere gli aerei tedeschi. Le loro esplosioni hanno illuminato il cielo da un capo all'altro. Purtroppo i proiettili antiaerei che abbiamo usato devono essere stati acquistati da un negozio di ferramenta giapponese a New York, perché non sono esplosi nel cielo, ma si sono fermati e hanno cambiato direzione e sono scesi ed esplosi tra le nostre postazioni.
Di conseguenza ci siamo dovuti tuffare rapidamente nel buco più vicino, veloci come l'inferno, per evitare di essere fatti saltare in aria.
Non posso raccontarvi tutta la storia dei prossimi quattro mesi di battaglia; perché posso solo descrivere gli eventi, di cui sono stato testimone o di cui ho fatto parte, durante i successivi 123 giorni d'inferno, su questa testa di ponte, e poi i 14 giorni di combattimento, dopo che siamo evasi dalla testa di ponte, sulla strada per la città di Roma. Durante i 4 mesi sulla testa di ponte, il soldato di fanteria, era confinato in una buca larga un metro e mezzo, lunga sette, da un buco profondo un metro e mezzo, che era chiamato Fox Hole, (da qualche idiota che aveva uno strano senso dell'umorismo.) Perché le buche erano troppo grandi per le volpi e piccole per noi uomini. Infatti, avrebbe dovuto essere chiamata Perché i buchi erano troppo grandi per le volpi e piccoli per noi uomini. In realtà, avrebbe dovuto essere chiamato un luogo di sepoltura, perché questo è quello che era diventato per molti uomini.
Durante le ore di luce del giorno non potevamo lasciare le nostre tane e nemmeno alzarci. Per paura che un cecchino tedesco ci piantasse una pallottola in testa. La battaglia di Anzio fu diversa da qualsiasi altra battaglia in Europa, perché durò 125 giorni, solo su circa 40 miglia quadrate di terreno, solo la battaglia russa di Leningrado nel 1941, durò più a lungo, perché durò 872 giorni ma su una superficie più ampia.
Il generale al comando del teatro operativo del Mediterraneo era un feldmaresciallo britannico, che ordinò questo tentativo tattico di aggirare la battaglia di Casinò. E ottenere una grande vittoria. Nelle settimane successive di combattimento, il nostro generale americano, Lucas, che era al comando della nostra forza, sulla testa di ponte, era consapevole della difficoltà di questo incarico, per evitare una sconfitta Decise di fermare la nostra avanzata a metà febbraio e attendere truppe ed equipaggiamenti supplementari, Purtroppo, la maggior parte delle nostre truppe ed equipaggiamenti supplementari, nel teatro mediterraneo, erano stati inviati in Inghilterra per preparare lo sbarco alleato in Francia.
Le nostre forze sulla testa di ponte hanno condotto diversi grandi attacchi contro il nemico, nelle settimane successive di febbraio, senza successo, a causa della mancanza di uomini e di equipaggiamento che abbiamo elaborato. Allo stesso tempo, l'esercito tedesco aveva ricevuto uomini ed equipaggiamento, da tutta Europa, anche dal nord della Francia, la cui missione era stata quella di fermare la prevista invasione alleata dall'Inghilterra. Hanno anche fortificato le loro posizioni sulle montagne, davanti alla nostra linea di battaglia. Le istruzioni di Hitler ai suoi generali in Italia, erano di distruggere e catturare tutte le truppe alleate su Anzio. Il mancato successo del generale Lucas sulla testa di ponte non fu colpa sua, ma i politici di Londra rimasero comunque delusi. (Erano gli stessi geni che causarono il disastro di Gallipoli nella prima guerra mondiale). Questi geni decisero che il generale Lucas non era il generale, che avrebbe avuto successo in questa missione, e così chiesero che fosse sostituito. Non so quale generale americano abbia ceduto a questa pressione che veniva dal politico. Forse è stato Eisenhower? Non so, purtroppo all'inizio di febbraio, tre compagnie di Rangers sono state individuate, dal nemico una notte, mentre si muovevano in un profondo burrone, questo attacco si è trasformato in un'imboscata e molti Rangers sono stati massacrati. Solo sei Rangers sono riusciti a fuggire. I sopravvissuti furono catturati e portati a Roma e marciarono in disgrazia.
Il 16 febbraio, per placare i suoi critici britannici, l'ufficiale americano superiore del generale Lucas gli tolse il comando e gli diede un incarico a tavolino; e lo sostituì con un altro generale americano. Sospetto che gli inglesi avrebbero preferito un sostituto inglese. Più tardi il generale Lucas tornò negli Stati Uniti e gli fu assegnato un incarico da scrivania. Ma purtroppo morì diversi anni dopo. Gli storici militari americani, che hanno esaminato questo evento, concordarono con la sua decisione, e decisero che le sue azioni probabilmente salvarono la vita di molti degli uomini sulla testa di ponte. Le informazioni di cui sopra furono rivelate diversi anni dopo la fine della guerra.
Ovviamente, io e tutti noi, umili G.l.s., prendevamo ordini e non avevamo alcuna idea di cosa stesse succedendo tra i pezzi grossi, o di qualsiasi cosa al di fuori della nostra immediata zona di combattimento. E così queste 40 miglia quadrate, di terreno agricolo, divennero la nostra casa e anche un luogo dove migliaia di soldati alleati, marinai e infermiere furono uccisi o feriti. E anche migliaia delle truppe nemiche (composte da tedeschi, polacchi, ungheresi e truppe e altre nazionalità) sono state uccise a metà febbraio.
Nel frattempo l'esercito tedesco ad Anzio è stato rinforzato dalle truppe, provenienti da tutta Europa, e ora è più forte di noi. Non potevamo avanzare o ritirarci (perché la maggior parte delle nostre barche e del nostro equipaggiamento pesante era stata inviata in Inghilterra, e non potevamo nuotare le 120 miglia fino a Napoli), quindi tutto quello che potevamo fare era scavare e combattere per evitare di essere distrutti dal nemico. Rimanemmo poi nelle nostre trincee, e ci mettemmo in pancia al compagno, che condivideva la nostra trincea, cioè se fosse stato ancora vivo e non fosse stato rimpiazzato. Ma l'esercito tedesco non ci avrebbe lasciato in pace, perché voleva distruggerci. Anzi, volevano portare quelli di noi che si erano arresi in Germania a sfilare davanti al grande Hitler. Ma il soldato americano era testardo come un mulo del Missouri. Una Creatura che è un figlio di buona donna dalla testa dura, che non si sottometteva e non si arrendeva mai. E nemmeno noi volevamo rinunciare alle nostre belle trincee.
Alla fine di febbraio, solo pochi uomini di fanteria, sbarcati sulla spiaggia di Anzio, erano sopravvissuti alle tante battaglie e schermaglie che avevamo combattuto, a causa dei morti, delle ferite e delle malattie che avevamo subito. Devo dare credito a quelle truppe, di altri reparti dell'esercito, della Marina e di chiunque altro, che erano anche loro sulla spiaggia, erano gli ingegneri, l'artiglieria, l'ospedale personale e tutti gli altri soldati nelle retrovie, perché anche loro hanno sofferto molto. Anche quelli sulla spiaggia e le navi in mare, che ci portavano i rifornimenti, rischiavano di essere bombardati e distrutti dal cannone d'artiglieria nemico (la grande Bertha) da 250 millimetri, che si trovava in montagna, un miglio circa davanti a noi. Senza l'appoggio di tutti in retroguardia, i compagni, quelli di noi in prima linea, non avrebbero potuto sopravvivere.
Uno dei compiti più dolorosi e difficili, in combattimento, è stato quello della morte. Era un dovere triste, che ricorderemo sempre, era necessario rimuovere i corpi di coloro che erano stati uccisi quel giorno. Questa azione poteva essere fatta solo nella sicurezza, nel buio della notte. Ogni notte il nostro ufficiale sceglieva uomini diversi, per questo compito molto spiacevole. C'erano momenti in cui ci volevano sei uomini per trasportare un solo corpo macchiato, che doveva essere trasportato a diverse centinaia di metri, dietro la nostra linea di combattimento, in un luogo, dove gli uomini delle Graves Registration potevano raggiungere, con la loro Jeep, in una certa sicurezza. I nostri uomini gettavano i corpi sulla strada e correvano verso la sicurezza delle loro trincee, per evitare i proiettili che venivano sparati indiscriminatamente in questa zona. Gli uomini della registrazione delle tombe guidavano silenziosamente e lentamente, ogni notte, per raggiungere un luogo vicino alla linea del fronte, trainando un piccolo rimorchio aperto, dietro la loro jeep. All'arrivo, raccoglievano i cadaveri e li gettavano letteralmente uno sopra l'altro, uno sopra l'altro, più in alto che potevano, sul loro rimorchio. Il sentimentalismo non era un fattore di questo dovere, quando finivano di raccogliere i corpi, si allontanavano in silenzio e li portavano all'unità di registrazione delle tombe, che si trovava vicino alla riva del mare. I corpi venivano poi identificati, se possibile, e seppelliti in un cimitero provvisorio ad Anzio. Questa azione è stata fatta dagli uomini dell'equipaggio del Graves Registration. Poi questa triste informazione sarebbe stata rispedita negli Stati Uniti, dove un'unità militare speciale avrebbe portato questa triste informazione, alla famiglia del defunto, questo era il temuto bussare alla porta, o la telefonata o il telegramma, (durante la guerra) che un membro della famiglia temeva e non voleva mai ricevere.
Per quanto riguarda i soldati feriti (se e quando possibile), un uomo del pronto soccorso, o un Chaplin o un compagno, portava a piedi o in braccio i feriti, al più vicino pronto soccorso, nella parte posteriore, per le cure, questo veniva fatto anche nel buio della notte, Un compagno di combattimento, che è un mio amico, e che vive anch'egli nel Missouri, era uno di quegli uomini del distaccamento delle Tombe, un compito e un dovere che detestava. Più tardi fu trasferito nella Compagnia L, dove siamo diventati amici. Mi ha detto qualche anno fa, che ha ancora, incubi di quel triste incarico. (Purtroppo il mio caro amico, morto per ferite di guerra, lo scorso aprile 2010).
Il 29 febbraio 1944, circa 5 settimane dopo lo sbarco, ad Anzio, abbiamo sopportato il peso dell'ultimo grande tentativo dell'esercito tedesco di distruggere la presenza alleata, su questa testa di ponte. Alle 6 di quella mattina attaccarono il nostro settore; l'attacco nemico iniziò con un fuoco di sbarramento di artiglieria sulla nostra posizione che durò tutto il giorno. La mattina dell'attacco, il mio plotone sergente di plotone. che era di nazionalità svizzera/tedesca, in posizione arretrata, e io pensavo a lui, come a un eroe, che condividevamo una trincea, mi mandò all'inizio dello sbarramento dell'artiglieria, per avvertire i nostri uomini di un possibile attacco, ma quando tornai nella nostra trincea, scoprii che stava in piedi dritto nella nostra trincea e non aveva senso con il suo discorso, perché aveva perso il completo controllo della sua sanità mentale, Chiamai il pronto soccorso e, a causa dello sbarramento dell'artiglieria, dove le granate atterravano ovunque nella nostra zona, il medico ed io lo facemmo sdraiare tra di noi nella trincea, e lo tenemmo entrambi a terra, per tutta la durata del giorno dello sbarramento, fino al buio, quando riuscimmo a mandarlo dai medici nelle nostre retrovie, dove fu poi evacuato in un ospedale di Napoli. Non ho idea di cosa sia successo, in quei pochi minuti. Purtroppo non tornò mai più nella nostra compagnia.
L'attacco nemico continuò per le quattro notti e i giorni successivi, durante questo periodo, fummo attaccati da tre divisioni di fanteria tedesca, e da numerosi carri armati corazzati e da tutti i tipi di altre unità dell'esercito tedesco. La nostra posizione fu chiamata ("LA FOSSO DELLA FEMINA MORTA") che significa ("il fosso delle donne morte") durante questo attacco; la nostra compagnia aveva l'ordine di tenere un ponte nel nostro settore, dove i carri armati tedeschi dovevano attraversare, per continuare la loro corsa verso il mare. E' stato un compito molto difficile, ma siamo riusciti a mantenere la nostra posizione, a spese di molti dei nostri uomini, (abbiamo dormito pochissimo in quei pochi giorni) Per fortuna abbiamo ricevuto l'aiuto di "Madre Natura" che ci ha dato un grande aiuto, con la sua costante pioggia pesante, che ha trasformato il terreno, con la sua costante pioggia pesante, in fango soffice, e per fortuna ha impantanato i carri armati, come se fossero arrivati a meno di cento metri, verso le nostre trincee, impedendo loro di avanzare.
Gli equipaggi dei due carri armati, che erano sprofondati nel fango, spararono i loro cannoni per un po', sopra le nostre teste, ma poi lasciarono i loro carri armati e corsero verso la parte posteriore. Un caposquadra, il sergente Shapiro, ricevette l'ordine di disattivare i carri armati, cosa che fece andando da loro, sotto il fuoco nemico, e mise delle granate ai fosfori nella canna del cannone e nel corpo dei carri armati. Questa azione coraggiosa salvò la vita di molti dei nostri uomini. Gli fu anche conferita la Stella d'Argento per il suo coraggio.
Nel 2002, in una conversazione telefonica con il mio comandante di compagnia in pensione, il Col. Blakie, mi informò che la nostra compagnia aveva ricevuto, ogni notte, quasi 22 uomini, da altre unità, per sostituire quelli che erano stati feriti, uccisi o avevano subito un "crollo emotivo" (un argomento che viene raramente menzionato dagli scrittori) questi erano gli uomini che venivano bombardati & e fucilati, giorno & notte. Essi ricevevano più dolore emotivo di quanto potessero sopportare e perdevano il controllo della loro mente e dovevano essere portati in un'unità medica nella parte posteriore. La maggior parte di loro non tornò mai più a combattere in questo luogo di "morte e dolore".
Questa battaglia continuò per i quattro giorni successivi. Durante questi giorni difficili, abbiamo ricevuto molti rimpiazzi, che erano per lo più soldati della retroguardia, provenivano dal parco macchine, anche cuochi, camionisti, e qualsiasi altro soldato non combattente, che poteva sparare con un fucile e obbedire agli ordini. Questi uomini della retroguardia non avevano alcun addestramento di fanteria, ma ci hanno aiutato a mantenere la nostra linea e il nemico non è passato. Ma noi e il nemico subimmo molte perdite di uomini e di equipaggiamento. Questa situazione di stallo, costrinse il comando tedesco a fermare finalmente l'attacco e a riportare le truppe d'assalto nelle loro posizioni originarie, con grande gioia e rammarico.
Il 6 marzo, o intorno al 6 marzo, la nostra compagnia fu sollevata da una compagnia di fanteria di riserva e quelli di noi che erano sopravvissuti all'attacco furono riportati nella zona del Pineto, Sulla via del ritorno, ad alcuni di noi fu ordinato di raccogliere i pochi corpi che erano stati uccisi da una granata esplosiva, erano ingegneri a cui era stato ordinato, qualche giorno prima, di far saltare il ponte, dove eravamo di stanza, qualche notte prima. Purtroppo, un proiettile di artiglieria tedesca 88 esplose sulla riva poco sopra di loro, e uccise tutti i tecnici di quella zona, di conseguenza i carri armati tedeschi attraversarono quel ponte e ci attaccarono.
Mentre mi avvicinavo per afferrare la gamba di uno dei morti, che giaceva sul bordo del torrente e le sue gambe sembravano essere nel torrente, rimasi scioccato nell'afferrare una gamba dei pantaloni vuota, perché la sua gamba era stata fatta saltare in aria. Alcuni di noi gli afferrarono i vestiti e lo sollevarono dal ruscello e lo portarono alla jeep di raccolta dei corpi, quando il rimorchio era pieno, furono poi portati nella parte posteriore. Abbiamo poi proseguito verso la nostra area di riposo, vicino al mare, dove la nostra Compagnia, è stata poi riorganizzata, e siamo stati in grado di fare la doccia e pulire e abbiamo anche ricevuto nuovi indumenti intimi e nuovi vestiti, la nostra Compagnia ha anche ricevuto nuovi sostituti di fanteria che erano appena arrivati dagli Stati Uniti.
Per i giorni successivi ci siamo riposati. sia mentalmente che fisicamente, ma troppo presto abbiamo dovuto tornare in prima linea in posizione di combattimento, La vita di un soldato di fanteria sulla testa di ponte è stata molto difficile, sia fisicamente che emotivamente. Per esempio, solo di notte, potevamo lasciare la protezione della nostra trincea per sollevarci, solo quando era possibile, e se la nostra zona non veniva bombardata dai mortai tedeschi a sei canne da 120 mm. di canna, (un'arma terrificante) o dal cannone tedesco da 88 mm., il miglior cannone d'artiglieria, in guerra. Le esplosioni di artiglieria hanno fatto il maggior numero di danni per la commozione cerebrale causata dal proiettile che scoppiava potevano farti scoppiare il timpano o farti saltare in aria e se non sentivi arrivare una granata, significava che eri morto. O la mitragliatrice tedesca, che sparava circa seicento proiettili al minuto, mentre la nostra sparava circa 200 proiettili al minuto, Ci è stato detto da un brillante ingegnere, che lavorava in un ufficio a Washington, che la nostra mitragliatrice, era più precisa dei nemici, quindi doveva essere migliore della pistola tedesca, ma una pistola non deve essere migliore o precisa, quando spara, quasi seicento proiettili contro di te. (Non può mancare) O il fastidio di essere attaccati dal singolo aereo tedesco, ogni notte, che ci sorvolava, nel buio della notte, e sganciava qualche bomba, qua e là, o il continuo sparare delle mitragliatrici del nemico, per infastidirci, e per impedirci di dormire. La costipazione o la diarrea era la nostra costante compagna.
È strano che la nazione della Germania, un tempo nota per il progresso della scienza e dell'umanità, si sia ora trasformata in una nazione, senza coscienza, che commette orribili atti di terrorismo. Lo menziono, perché utilizzavano la loro artiglieria, per bombardare il nostro grande ospedale a tenda, che era stato deliberatamente collocato in un grande spazio aperto, e che aveva grandi croci rosse, dipinte sopra ogni tenda per identificarlo, come ospedale, in un luogo non combattente. La sua missione era di riparare le ferite dei feriti, è difficile credere che i proiettili nemici che sono atterrati su queste grandi tende ospedaliere fossero incidenti. Perché questi ospedali erano in vista degli avvistamenti dell'artiglieria nemica, eppure hanno costantemente e crudelmente sparato sulle nostre tende ospedaliere, causando la morte di oltre nove infermiere e uccidendo anche i soldati, che erano stati feriti e che erano stati portati lì, per essere curati.
Durante i periodi di pace nel nostro settore, ogni tanto ripenso a quando ero giovane. Mi sedevo in un angolo e mi divertivo ad ascoltare mio padre e i suoi amici parlare delle loro esperienze nella prima guerra mondiale il sabato sera; un ricordo che ha contribuito a salvarmi la vita in questa guerra è stata la storia delle "Barriere Striscianti", uno stratagemma della prima guerra mondiale, perché nel buio della notte il nemico attaccava la nostra zona di trincea, facendo cadere le loro granate di artiglieria davanti alle nostre trincee, e poi lentamente alzavano le alzate dei loro cannoni, in modo che le granate cominciassero a cadere dietro di noi. Questa strategia era usata per tenerci giù nelle nostre trincee, con i proiettili esplosivi, e poi seguita dai soldati del nemico, che avanzavano rapidamente e poi spruzzavano le nostre trincee con i proiettili, quando non eravamo consapevoli di questo stratagemma. Ma io ero consapevole di questa tattica, così, non appena i proiettili del nemico iniziarono a esplodere dietro di noi, ordinai ai miei uomini di alzarsi dalle loro trincee e iniziarono a sparare con le loro armi, spruzzando la zona scura davanti a noi con i nostri proiettili, il più velocemente possibile. Questa conoscenza della prima guerra mondiale ha salvato la vita dei miei uomini e ha anche ucciso molti dei nostri nemici. Perché non si aspettavano di entrare in un muro di proiettili. Ogni notte, il nostro plotone, il sergente di plotone, mandava diversi uomini, di nuovo alla posizione dei nostri capitani, per ottenere la razione di cibo del giorno dopo, l'acqua potabile e, soprattutto, le nostre munizioni. Non ricevevamo mai posta da casa, mentre eravamo nelle nostre trincee. L'unico modo in cui ricevevamo notizie dal mondo esterno, veniva dalle nuove reclute, che venivano da noi dal flusso costante di rimpiazzi, che si univano a noi per rimpiazzare quelli che ci avevano lasciato.
Un giorno ho sentito una nuova recluta cantare una canzone che per me non aveva alcun senso, diceva: "Mares it dowsese, and does eat dotes and little lambbs eat ivy". (Ma era una canzone divertente) Un altro mio ricordo era il fatto che non potevamo lavarci o cambiarci i vestiti mentre eravamo in una trincea; l'igiene personale era un'arte perduta. È possibile che il nemico non ci abbia attaccato più spesso, era dovuto al fatto che "la maggior parte delle volte tutti noi "puzzavamo come puzzole". Durante le stagioni delle piogge di fine inverno e inizio primavera pioveva costantemente, che riempiva le nostre trincee di acqua fredda, facendole diventare vasche da bagno. Purtroppo non avevamo sapone e non potevamo asciugarci, perché non smetteva quasi mai di piovere. In ogni caso, non avevamo asciugamani da bagno.
Ma in quei pochi e preziosi momenti di pace e tranquillità, riuscivamo a chiudere gli occhi e ad abbandonare per un attimo il nostro miserabile ambiente e a fuggire nei nostri cari e preziosi ricordi, dove potevamo ancora una volta andare a trovare i nostri genitori, le nostre mogli, le nostre amiche, o incontrarci con i nostri amici, mangiare una pizza o bere un bicchiere di birra nel nostro ristorante locale, In quei momenti, di giorno sognando, potevamo sfuggire all'orrore e alla noia, e alla costante minaccia di morte o di essere gravemente feriti.
Ci sono stati alcuni momenti in cui la nostra compagnia è stata sostituita da un'altra unità, e siamo stati presi dalla fila e abbiamo marciato verso le retrovie (nella zona dei pini vicino alla riva del mare) di notte, per qualche giorno di riposo e di relax. Ci facevamo una doccia all'aperto, mangiavamo un pasto caldo cucinato e ci cambiavamo i vestiti, e ricevevamo la posta che ci veniva spedita, ma che fino a quel momento si teneva nelle retrovie; avevamo anche la possibilità di parlare con altri uomini della nostra compagnia.
Un giorno, stavo camminando da solo, nella bella zona della pinetina, vicino alla spiaggia, quando mi sono imbattuto in un gruppo di uomini, inginocchiato intorno a una jeep dell'esercito, il suo cofano era coperto con un panno bianco, e su di esso, c'era una croce alta due piedi, in piedi accanto al motore, c'era un ufficiale che aveva una striscia di stoffa bianca di 5 pollici intorno al collo, le estremità pendevano lungo la sua parte anteriore. Non avevo idea di che giorno fosse, ma supponevo che fosse domenica, e il sacerdote o il ministro, che celebrava una funzione domenicale o una messa, per le truppe, mi unii a questo gruppo, perché sentivo che anch'io volevo far parte di questo raduno, non mi interessava molto quale gruppo religioso fosse. Credo che il buon Dio ci abbia fatto visita nelle nostre trincee, in tempi di paura e di pericolo, ma non credo che il buon Dio ci avrebbe chiesto prima di tutto quale chiesa frequentavamo o appartenevamo, prima di ascoltarci. E qui, in questo luogo di pace, potevo ora rendere omaggio a nostro Signore, e non mi importava cosa o chi fosse questo gruppo, perché credevo; stavamo tutti pregando lo stesso Dio.

Un altro triste ricordo, che non ho mai e mai dimenticherò, è quello di quando ricevevamo una raffica di granate nemiche, che atterravano nella nostra zona, quando una delle granate esplose sull'orlo della trincea di uno dei nostri amici, ferendolo gravemente. Cominciò subito a gridare pateticamente in cerca di aiuto, perché era gravemente ferito, e ferito, ma purtroppo solo il buon Dio poteva aiutarlo, perché non potevamo lasciare la protezione della nostra trincea e andare ad aiutarlo, perché le granate stavano atterrando intorno a noi, e anche noi saremmo stati feriti se avessimo lasciato la nostra trincea. E anche se fossimo riusciti a raggiungere il nostro amico, non avremmo potuto fare nulla per lui. Ci faceva male sentirlo gridare pateticamente, in cerca di aiuto. Il momento più triste di tutti è stato quando abbiamo tristemente desiderato che morisse e che smettesse di urlare, perché sapevamo che stava soffrendo molto e che una morte rapida era preferibile a quello che stava passando. E sapevamo che poteva essere anche uno di noi, nel momento successivo.
Sapevamo anche che c'erano altri problemi o malattie che ci potevano capitare nelle nostre trincee che non in tutti i modi, finivano con la nostra morte, ma che potevano causarci grande dolore fisico e sofferenza, come un attacco di malaria, itterizia, diarrea, piedi da trincea, polmonite e dissenteria, che era la più disgustosa di tutte le malattie.
Nel mese di marzo, il mio Comandante di compagnia, mi ha promosso Sergente Maggiore a capo di una squadra di uomini. Avevo allora diciannove anni, devo essere stato scelto, perché avevo visto più combattimenti della maggior parte degli uomini della nostra compagnia. La mia squadra, era un gruppo di giovani uomini ordinari della mia età, tutti alti circa 5" 7' a 5" 10 pollici, che prendevano ordini senza fare domande, nessuno assomigliava a John Wayne, per i John Wayne, erano occupati a lavorare nel PX. o a guidare camion dell'immondizia nella zona posteriore. Ad Anzio, infatti, i soldati alti erano fuori posto in una buca profonda un metro e mezzo. Probabilmente erano eccellenti e coraggiosi in zone aperte, ma non in una buca profonda un metro e mezzo. Le loro teste sarebbero state bersagli sicuri per il cecchino tedesco, io ero uno degli uomini fortunati che era sbarcato sulla spiaggia il 22 gennaio e che era sopravvissuto, ogni giorno di combattimento, senza essere fisicamente ferito. Ma sono consapevole che alcuni dei nostri ricordi più dolorosi rimarranno con noi, per il resto della nostra vita, e non lasceranno mai i nostri pensieri.
Un ricordo molto triste, che non dimenticherò mai, si è verificato una notte in cui, come caposquadra, sono andato in perlustrazione notturna con uno dei miei uomini, più tardi, quando siamo tornati nella mia zona, ho trovato un soldato tedesco morto steso a faccia in giù sul bordo della mia trincea, e il mio compagno, accovacciato con la paura nella nostra trincea. Questo compagno di combattimento si era appena unito a me, qualche giorno prima, e parlava continuamente della sua nuova moglie e di quanto l'amasse. E che viveva a Evansville, nell'Indiana, e che si erano trasferiti in un nuovo appartamento, prima che lui partisse per unirsi all'esercito. Non era mai stato in combattimento prima. Gli chiesi: "Che diavolo era successo? Mi disse che il soldato nemico deve aver perso la strada nel buio, e si era avvicinato al bordo della nostra trincea, portava una mitragliatrice, e in quel momento il mio amico ha premuto il grilletto del suo fucile e ha ucciso il soldato tedesco con una pallottola in fronte, era morto all'istante. Il mio amico era nuovo al combattimento e solo e non sapeva cos'altro fare. Era molto turbato e confuso, mi chiese il permesso di andare in una trincea vicina per parlare con un amico. Gli dissi che poteva andare, ma di stare molto attento. Ho poi esaminato le tasche del cappotto del soldato tedesco, per cercare le mappe o qualsiasi informazione militare che potesse avere con sé. Invece ho trovato un portafoglio che aveva una fotografia di belle giovani donne tedesche con due giovani e belle ragazze, che dovevano avere circa 6 o 7 anni, sedute sulle sue ginocchia.
Ma proprio in quel momento abbiamo ricevuto il fuoco delle mitragliatrici, dalla posizione del nemico, che si trovava a una certa distanza di fronte alla nostra posizione. Quando finì lo sparo, l'uomo nella vicina trincea urlò, per dirmi che il mio amico era morto; era l'unica persona che era stata uccisa da quel fuoco di mitragliatrice. Non dimenticherò mai l'ironia del momento, perché in pochi minuti, due giovani uomini, erano stati uccisi, entrambi in lotta per il loro paese, due giovani mogli, ora erano diventate vedove e due bambini piccoli erano ora, senza padri. Non potrò mai dimenticare quel ricordo, perché in pochi minuti si era verificata tanta tristezza e dolore, mi sono chiesto più volte: perché è successo? Credo che solo il buon Dio possa rispondere a questa domanda.
Durante la tregua del combattimento, avvenuta nei primi giorni del mese di maggio, alcuni di noi, che erano in testa alla spiaggia dal 22 gennaio. Io ricevetti un congedo di quattro giorni dalla testa di ponte e fui mandato nel Comune di Napoli, per un congedo di quattro giorni di "riposo e ricreazione". Abbiamo viaggiato su una delle tante navi di rifornimento, che viaggiavano, le 120 miglia dispari, ogni giorno da Napoli ad Anzio; è stato un piacere essere di nuovo all'interno di un edificio perché erano passati molti mesi da quando avevamo dormito all'interno di un edificio. Lì abbiamo goduto di letti puliti su cui dormire, di vestiti puliti, di pasti caldi e soprattutto di "tranquillità" per i giorni successivi; abbiamo anche visitato la città di Napoli. Non credo che la gente di Napoli sia mai andata a dormire; sembrava che ridesse e cantasse tutto il giorno. La mia visita al Bella Napoli mi è piaciuta molto. Ma l'estasi non durò a lungo, perché il giorno dopo fui rispedito all'inferno, e quando tornai nella mia squadra, l'agonia e la tortura della battaglia, ritornarono dolorosamente.
Infine, il 23 maggio 1944. Dopo 123 giorni di inferno. Finalmente ci raggiunsero due nuove divisioni di fanteria, da poco arrivate dagli Stati Uniti, e ricevemmo anche nuove attrezzature. Ora avevamo la forza lavoro e l'equipaggiamento, per attaccare il nemico e lasciare questo "luogo di morte e di dolore". Tutte le nostre unità iniziarono il nostro attacco, la mattina presto, con la nostra banda della terza divisione situata vicino alla linea di partenza, suonando la nostra canzone di divisione, (The dogface soldier) che finalmente stavamo per raggiungere l'obiettivo originale, dello scorso gennaio. Era quello di catturare la città di Roma.




fonte dati: Veterani dello sbarco di Anzio